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 2005  marzo 29 Martedì calendario

LOLINI Attilio.

LOLINI Attilio. Nato a Radicondoli (Siena) nel 1939. Poeta. «[...] la poesia di Lolini [...] rientra nella categoria del maledettismo frivolo. Ma Giorgio Manacorda [...] ha proposto una variante: no, maledettismo è troppo, i versi di Lolini sono ironici e lievi, meglio pessimismo. [...] Di tutti i nostri poeti Lolini è il più disilluso, il più triste, [...] dire il più gotico. [...] il più politico dei nostri poeti, non tanto per gli espliciti giudizi della giovinezza quanto per la scelta della maturità di non più pronunciarne. [...] In un libretto del 1974, Negativo parziale , Lolini scriveva: ”I poveri come si odiano tra loro/ egregio ingrao”, dove questo nome con la minuscola sta per Pietro Ingrao, il dirigente del Partito comunista italiano, e dove, soprattutto, il primo dei due versi propone una visione della realtà affatto diversa da quella dei politici di professione, una visione per niente idilliaca. Così era la poesia di Lolini negli anni Settanta. Il fatto è che dopo le cose si complicano. In quel decennio il poeta senese si limitava a guardare il mondo. Poi se ne è stancato e si è messo a guardare se stesso. a questo punto che un aggettivo come gotico non è disdicevole, o inadeguato. Dalla negritudine della lotta di classe, o interclassista, si passa alla nerezza di osservazioni e giudizi su se stesso sempre più spietati. Dai Settanta agli Ottanta, dagli Ottanta ai Novanta e dai tardi Novanta ai primi anni del nuovo decennio è un crescendo ritmicamente perfetto, quasi operistico. Mentre la musica dei singoli testi è esile, quasi inudibile, se non lacerante, un’anti musica [...] Si osservino le singole poesie. Sono composte da strofette di due, tre, o quattro versi. I versi sono composti raramente da più di tre o quattro parole. Spesso ce n’è una sola. Siamo nell’ambito di una contrazione di tipo didascalico, brechtiano. O ai limiti dell’afasia, come se scrivere poesie fosse una contraddizione, o fosse uno scandalo dispiegare la voce in un canto (era la maledizione che gravava sulla poesia negli anni in cui Lolini cominciò la sua avventura letteraria). [...] Man mano che il Nostro invecchiando si incupiva e sempre meglio somigliava, anche nell’angustia degli orizzonti, al suo conterraneo Federigo Tozzi, o che dal secondo dei Quattro quartetti di Eliot, East Coker, passava al prosaicissimo Philip Larkin, avveniva la trasmutazione alchemica della merda (è una delle sue parole) in oro. Il suo ”credemmo in tutto/ poi in nulla”; la sua ”sbobba progressista”; il suo strozzato piagnisteo; il suo mutismo, le sue grida, i suoi sputi diventano una specie di marcetta trionfale, sul tipo del Ponte sul fiume Kwai o, forse, un frivolissimo, iperbolico finale. [...]» (’Corriere della Sera” 29/3/2005).