27 marzo 2005
Tags : Jean-Louis. Comolli
Comolli JeanLouis
• Nato a Philippeville (Francia) il 30 luglio 1941. Attore. «[...] Studioso e critico di cinema, è entrato nella redazione dei Cahiers du cinéma dal 1962 al 1971, succedendo a Serge Daney come redattore capo [...] Assistente di Rohmer, documentarista e autore di sei film di finzione dal 1968, ha esordito con un lavoro, Les deux marsailleses, primo di una serie di sette studi urbanistici e antropologici dedicati alla città di Marsiglia. Del 1975 è il primo film di finzione, La Cecilia, interpretato tra gli altri da Vittorio Mezzogiorno, su un fallito ma entusiasmante esperimento storico di comune anarchica in Brasile, nella regione di Bahia, portato avanti tra la fine dell’ottocento e i primi anni del 900 da un gruppo di immigrati italiani, esuli politici, guidati dall’agronomo toscano Giovanni Rossi e da Francesco Gattai (nonno paterno di Zelia Gattai, vedova di Jorge Amado). Sugli anarchici tornerà con un omaggio all’eroe della guerra di Spagna Buenaventura Durruti (Buenaventura Durruti, anarquista1997) Si è anche occupato approfonditamente di musica (suo un documentario su George Delerue) e in modo particolare di jazz, pubblicando nel 1971 un celebre studio sulla musica radicale nordamericana, Free Jazz/Black Power (tradotto in Italia da Einuadi), firmato con Philippe Carles, che ha introdotto in Europa le tendenze più avanzate della Great Black Music e in particolare il laboratorio creativo di Chicago e i gruppi legati all’Art Ensemble e curando nel 1994 un Dictionnaiere du Jazz. Collabora anche al periodico parigino Jazz Magazine. [...] insegna all’università del cinema della capitale francese (la Femis), a ”Paris 8” e a Barcellona. Insieme a Carlo Ginzburg ha lavorato sulla condanna a Adriano Sofri, ricostruendo ”anomalie” del primo processo (e speculari legami con la realtà italiana di allora e di oggi) nel 91, a partire dal libro dello stesso Ginzburg Il giudice e lo storico. Titolo l’Affaire Sofri (2003)» (c. pi., ”il manifesto” 26/3/2005). «[...] Cineasta, critico, saggista, professore di cinema all’università di Paris VIII, [...] fabbricante di immagini inquiete in quel complesso equilibrio tra fiction e realtà che è il succo del cinema. La parola documentario se la usi ti ferma subito: ”cinema” puntualizza. Così i suoi film sia che raccontino le comuni anarchiche del secolo scorso in Brasile (La Cecilia, 1975) che la Francia a partire dal quotidiano eccentrico di Marsiglia (un ciclo di sette titoli). [...] ”[...] Da una parte un cinema di scrittura, che rimanda alla fotografia e alla pittura, dall’altra il cinema come attrazione di fiera. Il cinema di scrittura punta alla sottrazione, nasconde. La logica dello spettacolo invece è accumulativa, tutto si può mostrare. chiaro che a me interessa quel cinema in cui il visibile non rappresenta la totalità e dove lo spettatore è cieco, deve conquistare la vista che non è un dono divino. [...] una banalità ma va sempre precisato che il documentario è anche fiction: si racconta una storia, la sola differenza è che non ci sono attori ma persone reali. Va anche detto che quanto si chiama documentario non è un’inchiesta giornalistica, le informazioni sono distribuite in modo diverso. Nel documentario si ritrova il principio della frustrazione, molte cose non sono dette subito ma seguono le esigenze narrative. L’informazione dovrebbe essere il contrario, si dovrebbe mettere a disposizione subito tutte le notizie seguendo regole di trasparenza. chiaro che in alcuni documentari entra anche la logica dell’informazione ma il cinema vince. Il documentario non equivale alla sociologia e non deve essere obiettivo come dovrebbero esserlo i media. L’interesse è mostrare una realtà perché lo spettatore ne dubiti, un mondo fatto di contraddizioni e mai scontato” [...]» (Cristina Piccino, ”il manifesto” 26/3/2005).