Varie, 26 marzo 2005
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Lorenzi Benito
• Borgo a Buggiano (Pistoia) 20 dicembre 1925, MIlano 3 marzo 2007. Calciatore. Con l’Inter ha vinto gli scudetti 1952/1953 e 1953/1954. Quattrodici presenze e 4 gol in nazionale • «[…] I Lorenzi avevano un negozio di generi alimentari, tre figli, quello entrato nella storia è il secondo. Si chiama Benito, ed è del 1925, ma tutti lo conoscono come ”Veleno”. Diritti d’autore alla mamma Lida, che non ci aveva messo molto per intuire il carattere bellicoso di quel figlio magrolino, dotato di accensione automatica senza neanche il bisogno di un fiammifero o di un pretesto. […] ”la fortuna di aver fatto il calciatore, biglietto di treno sola andata per Milano, 11 campionati di fila nell’Inter e una scuola di vita”. La seconda partita in serie A è Inter-Juve. ”Due palloni, e due volte Angeleri mi falcia. Arriva il massaggiatore Della Casa: ’Lorenzi, lei è un entusiasta del calcio, ma questo vale poco. Reagisca. Siamo in serie A’”. Finisce 4-2 per l’Inter. Quella partita è celebre per un altro episodio. […] ”Scalcio Rava, terzino della Juve e della Nazionale, lui è così inviperito che mi tira un pugno, io mi abbasso e lui colpisce, in piena faccia, il mio compagno Quaresima. […] A Milano abitavo in un appartamento dell’Inter, in via Olmetto. Due camere da letto: un anno nella prima, enorme, stavamo io, Ghezzi e Padulazzi; nella seconda, più piccola, solo Skoglund. Io ero stato messo lì per controllare il viavai. Ma Skoglund era difficile da controllare, in campo e fuori. Un giorno l’Inter gli mise un poliziotto alle spalle. Lui se ne accorse subito e lo fece girare per tutta Milano, poi gli andò incontro e gli disse: ’Bevi qualcosa con me?’. Il poliziotto non volle nulla e tornò alla sede dell’Inter: ’Inutile, con quello lì non c’è niente da fare’ […] Ricordate la rovesciata di Carletto Parola, quella sulle bustine delle figurine Panini? Anch’io ne facevo così. Solo che Parola le faceva a terra, io in aria, di destro e di sinistro. Eppure Gianni Brera non perdeva occasione per scrivermi contro. Finché un giorno usai le sue stesse armi. E firmai un articolo contro di lui. Da allora mi lasciò stare” […]» (Marco Pastonesi, ”La Gazzetta dello Sport” 26/3/2005) • «C’è stato un tempo in cui in Italia bastava la parola ”Veleno” e tutti pensavano a Benito Lorenzi. Era il soprannome di questo attaccante che teneva la maglietta penzolante fuori dai pantaloni, dalla classe pura fatta di dribbling secchi, lettura tattica, acrobazie d’autore e gol, tanti, 138 reti in serie A tra il 1947 e il 1958, tutti segnati con l’Inter: lo ingaggiò Meazza, 22enne, dall’Empoli. E da allora era restato interista, anche dopo aver giocato, come allenatore e osservatore [...] Il soprannome gliel´aveva dato mamma Lidia quando bambino, a Borgo Buggiano, il paese del Pistoiese dov’era nato nel 1925, rubava i dolci nel negozio in cui era commessa. Gianni Brera glielo ri-appioppò per un carattere poco malleabile e con il gusto tutto toscano della beffa. Come il 6 ottobre 1957, quando in un derby a 30 secondi dalla fine, l’arbitro Concetto Lo Bello fischiò un rigore per il Milan. Mentre tutti protestavano, Lorenzi mise un limone sul dischetto, proprio sotto la palla. I tifosi del Milan se ne accorsero, Cucchiaroni no e - malgrado la curva rossonera gli gridasse di stare attento - tirò il rigore fuori. Al fischio finale una ventina di milanisti invase il campo per picchiare Lorenzi, che si barricò negli spogliatoi. Giorni dopo, andò a confessarsi, fervente cattolico com’era. Il prete, interista, scoppiò a ridere e lo assolse senza penitenza. E quando gli facevano notare il contrasto tra l’etica cattolica e i suoi comportamenti, rispondeva: ”I miei peccati in campo li commette solo il corpo perché l’anima è restata nello spogliatoio”. Era uno con la lingua tagliente, come ricorda Boniperti, definito ”Marisa”, soprannome che lo perseguitò per anni. Uno capace di farsi espellere al debutto in A per una lite con Rosetta dell´Alessandria. Ma anche uno capace di proteggere Sandro e Ferruccio Mazzola dopo che avevano perso il padre a Superga, trasformandoli prima in mascotte dell’Inter poi in calciatori delle giovanili. E soprattutto uno capace di segnare gol sempre e comunque, anche con un timpano sfondato per l’otite, come in un altro derby, nel 1952» (Luigi Bolognini, ”la Repubblica” 4/3/2007) • «Benito Lorenzi nasce a Borgo a Buggiano, Pistoia. Centravanti, attaccante vivace e tignoso. Parte dall’Empoli, dalla B. Primo campionato nella stagione 1946-47. già, in famiglia, Veleno. Diventerà per tutti Veleno Lorenzi. Va in prova all’Arena, all’Inter, lo acquista Giuseppe Meazza. Dodici milioni di lire, una bella cifra per quel tempo. Prime partite con l’Inter, la mamma viene a trovarlo a Milano. I giornalisti la intervistano. ” sempre stato un ragazzo terribile. Sapete come lo chiamo io? Veleno. così da quando aveva cinque anni”. Resta Veleno Lorenzi. Per tutti. E lui, lo ha sempre ammesso, non ha farà nulla per cancellare la reputazione di attaccabrighe. Sul campo, chiaro, come calciatore. Un attaccante bravissimo, bravo sotto porta e nell’ultimo passaggio. Ma rissoso e baruffante. Non parliamo poi delle lingua. ”Ce l’avevo lunga”, ha sempre raccontato. Dirà: ”Ma non ero cattivo, non mi piaceva, come si dice, porgere l’altra guancia. Oh, intesi, se mi mollavano una pedatona, io non ci mettevo nulla a restituirla. Nel calcio si prende e si dà”. Litiga, si scontra, è espulso. Spesso. Una volta gli hanno chiesto: quante volte, Veleno? E lui, candido. ”Ah, questo non lo so. Tante. Molte giuste, qualcuna no”. Ricordava, invece, le squalifiche. ”Oh, tante. Con me il giudice non è mai stato tenero. Diciamo che per un po’ di tempo, negli anni Cinquanta avevo il mio bel record. Poi sono arrivati in Italia Sivori e Amarildo e mi hanno superato. Sono stato squalificato una ventina di volte”. [...] I suoi derby. La sfida con il Milan per lui era ”il giorno dell’anno”. Del gioco, della battaglia, ma anche dello scherzo e della presa in giro. Una volta l’arbitro concede un rigore al Milan. Veleno, facendo finta di niente, sistema mezzo limone davanti al pallone che Cucchiaroni sta per calciare. Cosa fa il buon Tito? ”Tirò fuori, chiaro”, sghignazzerà. Altra burla: realizza un rocambolesco gol al Livorno, si avvicina al portiere (che si chiama Merlo) ancora a terra e gli urla: ”Tu sei il Merlo? E allora fischia”. Veleno in area e fuori. lui, Benito, quando gioca in Nazionale, ad affibbiare il soprannome ”Marisa”, a Giampiero Boniperti il quale, ovviamente, non lo ha mai gradito. Lorenzi racconterà: ”Eravamo nello spogliatoio, Giampiero aveva appena vent’anni, era bellino, biondo, poco peloso, quasi efebico. ”Che fisico da Marisetta’, gli dissi ridendo. Poi siamo diventati grandi amici’. Il nome Benito glielo impone il nonno, anche se i fascisti gli avevano appena chiuso il forno. Lorenzi gioca centravanti prima nella squadra del suo paese. Nel 1946 all’Empoli per 150 mila lire. Quaranta partite e 14 gol in serie B. Passaggio all’Inter. Undici stagioni con i nerazzurri. 305 partite e 138 gol. Due scudetti 1953 e del 1954. Grandi partite, fra cui un derby storico, vinto dall’Inter per 6-5. Lorenzi è rapido e scattante e ama il dribbling. ” vero, però i miei dribbling avevano lo scopo di tirarmi addosso due o tre avversari, liberando per le conclusioni Nyers, che infatti ha segnato tantissimi gol”. Quattordici presenze in Nazionale e ”solo” quattro gol. La sciagura di Superga diventa per lui un incubo. Non volerà più, salta molte convocazioni. Lorenzi lascia l’Inter nel 1958. ”Presidente era Angelo Moratti, mi dà la lista gratuita. Un gesto da gran signore”. Fa una stagione all’Alessandria, scopre un giovanissimo fenomeno. Ricorderà con rammarico: ”Era Gianni Rivera, allora aveva soltanto quindici anni. Lo segnalo subito ad Angelo Moratti, che gli fa firmare un compromesso, affidando a un suo collaboratore l’incarico di rinnovarlo. Ma questo lasciò scadere il termine e su Rivera piombò il Milan”. Dopo due brevi esperienze sulle panchine di Empoli e Parma, Benito Lorenzi, detto sempre Veleno, guida per 15 anni il settore giovanile dell’Inter» (Germano Bovolenta, ”La Gazzetta dello Sport” 4/3/2007).