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 2005  marzo 24 Giovedì calendario

PERRY Grayson Chelmsford (Gran Bretagna) 23 aprile 1960. Artista • «Chiudete gli occhi. Immaginate di essere davanti al solito televisore

PERRY Grayson Chelmsford (Gran Bretagna) 23 aprile 1960. Artista • «Chiudete gli occhi. Immaginate di essere davanti al solito televisore. un mercoledì sera, alle nove. Di colpo, fra gli infiniti e invasivi spot pubblicitari, fra tutta la gadgettistica odiosa e avvilente che affolla le serate davanti al piccolo schermo, fra presentatori scemi e veline nude, in mezzo al pattume a cui siamo ormai avvezzi come i tossici lo sono alle droghe pesanti, ecco, immaginate che compaia un candido travestito. Sì: un uomo vestito da donna. Ma non da donna qualsiasi. Piuttosto, da Heidy, arsenico e vecchi merletti, un po’ bambolona come la Laura Betti degli anni ruggenti. Ora aprite gli occhi. No, non state sognando. State anzi vedendo Why Men Wear Frocks (cioè, perché i maschi si travestono) su Channel 4, canale televisivo inglese molto seguito (come si trattasse della nostra ReteQuattro). Non bastasse tutto ciò, il travestito che conduce la trasmissione non è un travestito qualsiasi. Il suo nome è Grayson Perry, e corrisponde a una delle star più riconosciute della scena artistica contemporanea non solo britannica. Pensate: come se Francesco Clemente (uno dei padri della Transavanguardia), o come se Giulio Paolini (del gruppo storico dell’Arte Povera) comparissero in tivù abbigliati come sopra descritto, conducendo una trasmissione in prima serata il cui fine è quello di provare a rispondere al quesito che lo stesso Perry pone: ”Se il travestitismo è un sintomo, quali sono le cause, i guasti che lo producono?” La trasmissione, interamente girata a Scarborough, un piccolo paese sulla costa nord dell’Inghilterra, nello Yorkshire, vede lo stesso Perry e un gruppo di altri distinti signori che amano gli abiti da signora invadere un alberghetto con le loro borse e borsette e beauty-case, per passare finalmente qualche giorno fra amici (o amiche), in totale libertà (ma si fa per dire, con tutte quelle vesti e sottovesti e trucchi e parrucche). Commenta Perry: ”Gran parte della trasmissione è appunto realizzata in un piccolo albergo della provincia inglese, invaso da un centinaio di travestiti che arrivano il venerdì sera per passarvi il weekend. Per molti di loro è l’unica possibilità in un anno di indossare quegli abiti liberamente. Per molti di loro, tornare a casa sarà quindi uno shock. Avendo condotto una vita piuttosto libera, avevo dimenticato quanti travestiti vivano ancora in segreto la loro scelta, senza dir niente a mogli e figli”. Già, mogli e figli. Uno dei fini dello show è proprio quello di sfatare un luogo comune: tanti maschi si vestono da donna non perché omosessuali. Lo stesso Perry si dichiara serenamente eterosessuale. E infatti [...] è sposato con una psicoanalista, Philippa Fairclough, e insieme hanno una bambina, Florence [...]. Del resto, quando nel 2003, Perry vinse il maggior riconoscimento cui un artista anglosassone possa ambire, e cioè il ricco e prestigioso Turner Prize, si presentò a ritirarlo in abiti rigorosamente femminili e con moglie e figlioletta tenute per mano. Fu uno scandalo. Ma poi mica tanto. Uno dei meravigliosi vasi di ceramica e terracotta per cui Perry è celebre nel mondo dell’arte contemporanea (e il cui valore di mercato può tranquillamente aggirarsi intorno ai 50 mila euro) mostra per esempio - sulla scena di un idilliaco quanto fasullo ménage famigliare, con un marito tutto muscoli che tiene in braccio una mogliettina dal seno prorompente - una scritta in cui si legge: ”Deve essere un segno dei tempi il fatto che un travestito vinca il Turner Prize”. E ancora, sempre sullo stesso set: ”Creare vasi adesso sarà come fare video”. Oppure: ”La sincerità è la nuova trasgressione”. Come si capisce, l’ironia anche più estrema è la chiave per accedere al lavoro di Perry. Naturale che un simile (straordinario) artista piombasse sulla televisione con un’idea semplice quanto dirompente. Lo schermo lo ha bucato. Quanto allo share, gli inglesi ne sono meno ossessionati di noi italiani» (Mario Fortunato, ”La Stampa” 24/3/2005).