Varie, 20 marzo 2005
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Rodomonti Pasquale
• Teramo 1 giugno 1961. Arbitro • «[...] Una passione pura, che nasce da ragazzo e che non si appannerà mai, nonostante le moviole, le polemiche, nonostante tutto. Pasquale Rodomonti è cresciuto a Teramo, quartiere popolare, famiglia semplice e con una grande tradizione: zio Carmine aveva fondato la sezione Aia locale nel 1956, zio Archimede, che con quel nome la sapeva lunga, l’aveva continuata insegnando a Pasquale regole e approccio mentale. Anche il cugino Carlo ha fatto l’arbitro fino in C1, poi ha lasciato per motivi familiari. Lui a 15 anni non sapeva nemmeno tenere il fischietto in mano, ma ben presto ha capito che cosa significa la parola ”responsabilità”. Trafila, come tutti, nei tumultuosi campi di periferia, diploma stiracchiato di ragioneria, qualche lavoretto (anche fotografo ai matrimoni), fino al grande palcoscenico della serie A. [...] ”Io non faccio l’arbitro, io sono un arbitro un lavoro che mi ha insegnato a diventare uomo. Io non capisco: i nostri valori non possono essere cancellati da un episodio. Non è che se fai uno sbaglio sei un asino e alla partita seguente se fai bene sei bravo. Non si può generalizzare. Il calcio è uno sport imperfetto e piace proprio per questo, non potete chiedere la perfezione agli arbitri. Su novanta decisioni cinque o sei le sbagliamo sempre: lo so, alcune possono essere determinanti, ma che vogliamo fare? [...] Una volta un giocatore fece un fallo di mano davanti ai miei occhi: io non lo vidi perché in quel momento avevo battuto le ciglia, ma lo intuii. L’ho dato ed era giusto. Non è una situazione assurda, succede: è che ero in una situazione psicologica ideale. Se ci fossero meno pressioni, tutti noi saremmo più tranquilli e renderemmo di più, il problema è che in Italia non c’è l’accettazione dell’errore. Siamo più stimati all’estero”. [...] ha esordito in A nel 1992: Ascoli-Atalanta. Mezza Teramo andò nelle Marche a festeggiarlo [...] ”[...] I simulatori? Non porto mai rancore, però almeno che non vadano a dirlo in tv, sennò mi umiliano due volte come uomo” [...]» (Gabriella Mancini, ”La Gazzetta dello Sport” 20/3/2005).