Varie, 19 marzo 2005
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Kennan GeorgeFrost
• Milwaukee (Stati Uniti) 16 febbraio 1904, Princeton (Stati Uniti) 17 marzo 2005. Politico • «“In conclusione dobbiamo avere il coraggio e la sicurezza di aggrapparci ai nostri metodi e alla nostra concezione di società umana. Il pericolo più grande che ci possa capitare nell’affrontare il problema del comunismo sovietico è quello di lasciarci andare e di diventare anche noi come coloro che combattiamo”. È il 22 febbraio del 1946, a Washington sono le 3 e 52 del pomeriggio. La frase che giunge sul telex del Dipartimento di Stato è l’ultima di una lunga nota che arriva dall’ambasciata americana a Mosca. Si tratta di un memorandum - scritto quando nella capitale sovietica sono le nove di sera e diretto al Segretario di Stato James Byrnes in risposta a una richiesta “urgente” del Dipartimento di Stato - il cui autore è George Frost Kennan, allora incaricato d’affari americano nell’Urss di Stalin. Un telex di ottomila parole che passerà alla storia come il long telegram, che anticipa la dottrina della “politica di contenimento” dell’Unione Sovietica e che dà praticamente l’avvio alla Guerra Fredda. Un anno più tardi sarà lo stesso Kennan a codificare questa politica in un lungo saggio pubblicato dalla rivista “Foreign Affairs”; saggio in cui spiegava come obiettivo fondamentale degli Stati Uniti fosse quello di “contenere” la nuova superpotenza sovietica nei confini stabiliti a Jalta e che insieme con un memorandum del 1948 (rimasto segreto per cinquanta anni), The Inauguration of Political Warfare, sarà il testo chiave di quella che sarà poi conosciuta e studiata come la “dottrina Kennan”. In quel memorandum chiedeva che venissero fatte “operazioni clandestine” contro Mosca, che diede il via alle operazioni segrete della Cia all’estero e alla formazione dei gruppi Stay Behind. Definito, con una parola ora di gran moda, come “l’architetto” della guerra fredda, George Kennan è stato certamente una delle figure-chiave della storia militare-diplomatica del secolo scorso, esponente di spicco di quel realismo strategico elaborato a Washington tra la fine degli anni Quaranta e i primi anni Cinquanta; e nonostante abbia abbandonato la carriera diplomatica non ancora cinquantenne (nel 1953) per i contrasti con il segretario di Stato di Eisenhower, John Foster Dulles, le sue intuizioni hanno condizionato la politica americana e mondiale per diversi decenni, riuscendo a garantire equilibri internazionali che subito dopo la fine della seconda guerra mondiale sembravano assai poco stabili. Il long telegram venne spedito a Washington poco dopo il discorso in cui Stalin aveva parlato della inevitabilità del conflitto con i “poteri capitalisti”; sommando le minacce di Stalin alle crisi iraniane e greche, in corso in quel momento, al rifiuto dell’Urss di entrare nel Fondo Monetario Internazionale e nella Banca Mondiale, ai primi esperimenti atomici sovietici e alla sconfitta della Cina nazionalista, si comprende meglio il perché di quella drammatica missiva. L’analisi di Kennan è rigorosa. Partendo dal fatto che la leadership sovietico-stalinista ha una visione che divide il mondo tra società capitaliste e socialiste, che l’Urss si sente accerchiata dai capitalisti e che i sospetti di Stalin non derivano da nessuna realtà obiettiva ma solo dalle necessità interne alla Russia sovietica - che Kennan definisce “una nevrotica visione degli affari mondiali”- mette però in guardia dal sottovalutare il “tradizionale e istintivo senso di insicurezza dei russi che l’ideologia marxista-leninista ha saputo cogliere perfettamente e guidare”. Dato che il “potere sovietico non lavora seguendo piani prefissati, che non prende rischi che non siano necessari ma che è immune alla logica della ragione è altamente sensibile all’uso della forza”. E contro il possibile uso della forza da parte di Stalin, Kennan scrive che gli Stati Uniti devono guidare il mondo a resistere contro la minaccia del comunismo sovietico: “Facendo in modo che la gente stia bene, sia felice e sicura, e con una guerra di propaganda che faccia capire al popolo sovietico che è lontano dall’avere i benefici delle libertà occidentali”. Da questa filosofia nascerà il cosiddetto Piano Marshall. George Frost Kennan nasce nel febbraio 1904 a Milwaukee, nel Wisconsin, in una zona colonizzata dagli emigranti tedeschi sulle rive del lago Michigan. I suoi avi sono illustri, vengono da una famiglia scozzese-irlandese arrivata nel New England nel Settecento, e da uno zio esperto della Russia zarista impara a conoscere e ad appassionarsi alla storia di quella che nel frattempo è diventata l’Unione Sovietica. Il giovane Kennan frequenta la Saint John’s Military Academy di Delafield (Wisconsin) e subito si iscrive alla prestigiosa università di Princeton dove studia storia ed eccelle nella squadra di nuoto. Dopo la laurea a Princeton Kennan entra nel Foreign Service degli Stati Uniti, iniziando una carriera diplomatica che lo porterà a essere uno degli uomini che hanno fatto la storia diplomatica del Novecento. Nel 1925 è a Ginevra come viceconsole, nel 1927 viene trasferito (sempre come viceconsole) prima ad Amburgo e poi a Tallinn in Estonia. Nel 1929 diventa il responsabile delle tre delegazioni americane a Riga, Kaunas e Tallin, le repubbliche del Baltico e lì sposa (nel 1931) Annelise Sorenson una norvegese-danese. Grazie ai suoi studi sulla Russia (lingua, letteratura e storia) diventa in poco tempo uno dei punti di riferimento del Dipartimento di Stato nelle complicate relazioni tra Usa e Urss durante gli anni Trenta, tanto che quando nel 1933 l’ambasciata americana a Mosca riapre George Kennan viene chiamato ad accompagnare il nuovo ambasciatore William Bullit. A Mosca resta per quattro anni, prima come terzo segretario, poi salendo di un grado, ma nel 1937 viene richiamato a Washington prima di essere rispedito d’urgenza a Praga; dove arriva il 29 settembre 1938, proprio il giorno in cui Francia e Gran Bretagna consegnano i Sudeti a Hitler. Negli anni di Mosca Kennan con i suoi dispacci frena qualche facile entusiasmo dell’ambasciatore, un po’ troppo diplomatico con il potere stalinista; i suoi realistici dispacci fanno da contraltare a quelli di Bullit che raccontano una Unione Sovietica in cui anche i processi e le purghe staliniane appaiono corretti. Nel 1940 viene inviato a Berlino. Nella Germania di Hitler - le cui armate stanno già conquistando mezza Europa - lavora come secondo e poi come primo segretario d’ambasciata; accompagna anche il sottosegretario Sumner Wells nel suo fallimentare viaggio in Europa compiuto per verificare se esistono prospettive di pace. Resta a Berlino anche quando gli Stati Uniti rivedono il Neutrality Act e si avvicinano ad entrare in guerra cosa che gli costerà l’internamento (14 dicembre 1941) in un hotel di Bad Nauheim, vicino Francoforte, dove resterà cinque mesi prima di poter rientrare negli Stati Uniti (maggio 1942). Un mese dopo, nel giugno 1942 viene rispedito in Europa, console a Lisbona e poi nel biennio 1943-44 capodelegazione Usa alla European Advisory Commission, l’organismo che stabilisce quale deve essere la politica in Europa di Usa, Gran Bretagna e Unione Sovietica. Dal 1944 al 1946 diventa incaricato d’affari all’ambasciata americana a Mosca ed è da lì che spedisce il famoso long telegram. La carriera diplomatica di George Kennan viene premiata nel 1947 quando l’allora Segretario di Stato George C. Marshall lo nomima direttore del Department of State’s policy planning staff, una posizione in cui Kennan può diventare il principale protagonista nella politica verso l’Unione Sovietica, diventando il principale sostenitore della politica di containment. Nel 1949 Kennan diviene uno dei principali consiglieri del Segretario di Stato Dean Acheson e nel 1952 ritorna a Mosca per diventare finalmente il numero uno, l’ambasciatore degli Stati Uniti in Unione Sovietica. Un incarico che dura poco. Nell’ottobre dello stesso anno le dichiarazioni sull’Unione Sovietica durante un viaggio a Berlino lo rendono una “persona non grata” per Stalin e per le autorità sovietiche. Kennan lascia quando ancora non ha compiuto cinquanta anni il Foreign Service e torna a Princeton, questa volta come membro prestigioso dell’Institute for Advanced Study dove studia e insegna fino alla fine della sua carriera. Autore di diciassette libri e di centinaia di articoli, ha vinto, due volte, il premio Pulitzer» (Alberto Flores D’Arcais, “la Repubblica” 19/3/2005). «La notte del 22 febbraio 1946 un “lungo telegramma” parte, con le vecchie telescriventi sferraglianti, dall’Ambasciata americana a Mosca verso Washington. La guerra è finita da nemmeno un anno, le foto dei soldati russi e americani che fraternizzano sul fiume Elba ancora evocano calore. Il “lungo telegramma” cambia l’umore del pianeta: redatto dal ministro consigliere dell’Ambasciata Usa, George Kennan, il testo spiega che l’Urss di Stalin “è sorda alla logica della ragione, ma assai sensibile alla logica della forza”. Citando una massima dell’imperatore romano Probo, raccolta dal suo adorato storico Edward Gibbon, Kennan propone di “contenere” l’impero sovietico, con la pressione militare, ma al tempo stesso usando la leva economica, politica e culturale, e vincendo così la battaglia delle idee in Europa. George Kennan […] fonda con quel telegramma, e con il famoso articolo siglato con la lettera “X” sulla rivista “Foreign Affairs” nel 1947, la strategia occidentale nei confronti dell’Urss che avrebbe, mezzo secolo più tardi, portato alla vittoria nella “guerra fredda”, lo slogan con cui il finanziere Bernard Baruch definì la nostra era. Freddo in apparenza e sentimentale in realtà, aristocratico, coltissimo, capace di scrittura perfetta, Kennan è considerato da Henry Kissinger “come il più originale autore della dottrina diplomatica dominante”. È Kennan lo stratega intellettuale del Piano Marshall, che salva l’Europa dalla fame e spunta la propaganda del Cremlino contro le democrazie. È Kennan a mitigare i rigori dell’occupazione in Giappone, lasciando presto la mano ai civili. È Kennan a suggerire la creazione della Cia, “strumento di guerriglia politica”. Ed è Kennan a lanciare Radio Free Europe, l’emittente che i dissidenti dell’Est, da Vaclav Havel a Lech Walesa, ascoltano in segreto. Un gigante, premiato dal presidente Bush padre con la Medaglia della Libertà, la più alta onorificenza civile del paese, autore di una ventina di saggi, docente a Princeton dove Albert Einstein e il padre della bomba H, Robert Oppenheimer, lo considerano un amico. Eppure Kennan rimane, sino all’ultimo intervento prima della morte, un anticonformista, un outsider, un ribelle intellettuale contro le idee dominanti e, spesso, anche contro le sue stesse riflessioni. In una polemica intervista a Jane Mayer del “New Yorker”, alla vigilia dell’attacco all’Iraq, ammonisce: “Questi interventi si sa come cominciano e non come finiscono”. Davanti al Congresso, nel 1975, definisce l’invenzione della Cia, “il peggiore errore che io abbia commesso”. Si schiera contro l’invasione della Corea del Nord, la guerra in Vietnam e prova a controllare la corsa nucleare con tanta foga che il ministro degli Esteri Dean Acheson lo investe: “Se la pensi così, perché non te ne vai a predicare con i quaccheri?”. Un altro segretario di Stato, John Foster Dulles, protagonista della guerra fredda che Kennan aveva strutturato, gli toglie ogni carica diplomatica, lasciandolo alla carriera universitaria di Princeton. Un breve ritorno al Foreign Service, sotto il presidente Kennedy come ambasciatore a Belgrado ai tempi di Tito, finisce male. Kennan vuole aprire ai commerci per avvicinare la Jugoslavia all’Occidente, il Congresso rilutta e “Mister X” dà per sempre le dimissioni. L’altro colosso della politica estera Usa, Averell Harriman, condensa arguto il dilemma: “George capisce alla perfezione l’Urss ma non capisce per nulla gli Stati Uniti”. Vero: Kennan amava la Russia, parlava alla perfezione il russo, detestava lo stalinismo, ma sognava di scrivere una biografia di Cechov. Non fu mai un progressista, propose di mettere fuori legge il Partito comunista italiano alla vigilia delle elezioni politiche del 1948, ma quando amici e colleghi finirono travolti dalla caccia alle streghe del senatore McCarthy, l’uomo che con il suo pensiero aveva isolato l’Unione Sovietica, decise che anche la democrazia gli stava stretta. Aveva studiato il tedesco a Kassel, orfano di madre fin da bambino (“A lungo in un cimitero cercai le tombe dei genitori, padre, padre, dove sei tu?”) , e gli studi a Princeton, unico lavoratore tra i rampolli delle grandi dinastie industriali americane, lo lasciarono scettico sulla natura del Paese che aveva difeso dai mortali nemici del XX secolo. Diplomatico a Berlino nel 1941, quando Hitler dichiara guerra agli Stati Uniti, Kennan è internato con altri giovani colleghi. Liberato e tradotto a Lisbona, si vede detrarre gli stipendi dei cinque mesi passati agli arresti nazisti: “Non avete mica lavorato”, osserva la frigida nota del Dipartimento di Stato. Espulso da Mosca — Stalin non gradisce il suo paragone tra “nazismo e comunismo” — Kennan torna per qualche tempo in California e, dopo gli anni passati nelle ombre dell’Europa totalitaria, vede da vicino i figli della libertà. Una spiaggia di narcisi, che non leggono nulla, ascoltano musica, si rosolano al sole e non hanno un pensiero al mondo. Ecco la contraddizione su cui ruota il pensiero di George Kennan: le sue idee isolano le dittature, ma lui non sa riconciliarsi con il materialismo e il consumismo della società di massa. Il suo gusto scandinavo (passa le vacanze di una vita con la moglie in Norvegia) per la malinconia e la riservatezza arriva alla strampalata teoria che la nazione debba essere divisa “in dodici repubbliche”, dirette da un “circolo di saggi, non eletti”, e a proporre, in un articolo inedito scovato dai biografi Isaacson e Thomas, che “neri, donne ed emigranti” debbano essere privati del diritto di voto. È capace di penetrare fino al midollo il pensiero strategico, ma incredulo sulla capacità del governo democratico. Prega i potenti di dimenticare la cortina nucleare scaturita dalle sue idee, “Per amore di Dio, per amore dei vostri bambini e della civiltà, fermiamo questa follia. Siamo mortali, possiamo sbagliare”. Ferocissimo con i propri errori, Kennan era sprezzante con quelli dei connazionali, “un popolo di bambini”. Come un esploratore, aveva intravisto per primo il nostro mondo, senza amare la terra scoperta […]» (Gianni Riotta, “Corriere della Sera” 19/3/2005).