18 marzo 2005
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Handler Daniel
• Nato a San Francisco (Stati Uniti) il 28 febbraio 1970. Scrittore. Noto per i libri Una serie di sfortunati eventi firmati con lo pseudonimo Lemony Snicket. «[...] impertinente scrittore americano che con l’invenzione di questi libricini horror ha scalzato più volte dalle liste dei bestseller il maghetto Harry Potter (lui lo giudica niente meno che ”zuccheroso”), la cupa serie, uscita negli Stati Uniti in undici volumi, sempre illustrati con finezza di tratto vittoriano da Brett Helquist, è stata [...] celebrata da un film intitolato proprio come la collana: Una serie di sfortunati eventi. Interpretata da attori come Meryl Streep e Jim Carrey [...] Tutti i titoli della serie, sia in inglese che in italiano, hanno il vezzo di essere composti da due parole con la stessa iniziale: il primo tomo è Un infausto inizio, il secondo è La stanza delle serpi, il terzo è La funesta finestra, e sulla trama di questi tre è stato costruito il film. Gli altri libri finora tradotti sono La sinistra segheria, L’atroce accademia, L’ascensore ansiogeno, Il vile villaggio e L’ostile ospedale. Con toni dotti, raffinati e mai saccenti, l’epopea segue i destini degli orfani Baudelaire, funestati dalla perdita di casa e famiglia a causa di un orribile incendio. Violet, la maggiore, è un’inventrice geniale, che quando si fa venire in mente un’idea risolutiva segue il rituale di legarsi i capelli con un nastro; l’occhialuto Klaus, lettore accanitissimo e vagamente potteriano, ha divorato la biblioteca di casa, perita nel rogo come il resto, genitori compresi, e mette la sua sapienza al servizio dei piani da escogitare per sfuggire ai persecutori; chiude il terzetto la bebé Sunny, che vanta prodigiosi dentini affilati e usati con talento per mordere i cattivi, dunque praticamente tutti. Ai tre bambini accade sempre il peggio, in un convulso accavallarsi di sventure incorniciate da contesti sempre minacciosi, oltre che non dissimili dai nostri: la scuola è un incubo, in prigione finiscono gli innocenti (e i veri criminali se la spassano), negli ospedali si compiono operazioni chirurgiche inutili e la natura è prodiga di catastrofi. Ma il più inestinguibile dei supplizi, per i Baudelaire, lo incarna un viscido cugino, il Conte Olaf, attore cialtrone e fallito, avido di mettere le mani sul loro patrimonio, e scatenato, in vista di quest’obiettivo, nel mascherarsi nei più improbabili travestimenti. Nel film la parte del furfante tocca a Jim Carrey, che se ne appropria con virtuosismo trasformista, mentre Meryl Streep è la tremebonda e fobica zia Josephine, specchio grottesco, ma poi neanche tanto, delle innumerevoli madri iper-protettive e ansiose. Terrorizzata da tutto tranne che dalla grammatica, che per lei è un vero oggetto di culto, la dama vittoriana evita gli elettrodomestici per paura dei corti circuiti, non accende mai i termosifoni perché teme che saltino in aria e intima ai bambini di tenersi alla larga dal frigorifero perché cadendo potrebbe schiacciarli. Tutte le storie sono infarcite di citazioni ”colte”, di volta in volta ritagliate da Eliot (L’atroce accademia del volume omonimo si chiama Prufrock), Orwell (è il nome dell’oculista che ipnotizza Klaus), Poe (così si chiama il tutore dei Baudelaire), Salinger (ne L’ascensore ansiogeno gli orfani sono accolti dalla coppia formata da Jerome ed Esmé Squalor, che trovano terribilmente chic adottare degli orfani). Non mancano l’ospedale Achab, il Virginian Wolf snake (che però in italiano perde l’allusione letteraria diventando il serpente mannaro della Virginia), e i gemelli Isadora e Duncan. In sintonia con il black humour degli intrecci, ogni libro si apre con una dedica dell’autore a una donna amata e defunta, di nome Beatrice. ”Il mio amore per te è sempre vivo. Tu, purtroppo, no”. ”Come vorrei che tu fossi viva, come vorrei che tu stessi bene”. ”Sarai sempre nel mio cuore, nella mia mente e nella tomba”. ”La mia vita è iniziata quando ti ho incontrata. La tua è finita subito dopo”. ”Quand’eravamo insieme mi mancava il respiro. Ora manca a te”. ”Il nostro amore ha spezzato il mio cuore e ha fermato il tuo” Abile e originale nel linguaggio innamorato dell’ironia drammatica e generoso di surreali incisi didattici (’se qualcuno è allergico a qualcosa, normalmente non se lo deve mettere in bocca, soprattutto se quel qualcosa sono i gatti”; ”in linea di principio, non è buona educazione entrare in camera di qualcuno senza prima bussare, ma si può fare un’eccezione se il qualcuno è morto o fa finta”), la saga dei Baudelaire vanta esiti commerciali clamorosi. I bambini, si sa, adorano le disgrazie, e gli orfani in letteratura sono sempre stati i benvenuti: per crescere bisogna uccidere i genitori. Ma 27 milioni di copie vendute nel mondo devono riflettere qualcosa in più di una generica tendenza infantile a esorcizzare le paure nel genere macabro. Così i giornali americani si sono rincorsi nel condurre pensose inchieste sui perché di tanto successo, capace tra l’altro di provocare esilaranti azioni di censura, come quella messa in atto da una scuola della Georgia, che ha proibito i libri di Snicket perché il Conte Olaf, nel primo volume della serie, cerca di sposare la sua parente quattordicenne Violet (non per pedofilia, ma per mettere le mani, al solito, sull’eredità dei ragazzi). Tra le tante, affannate spiegazioni del fenomeno emerge un dato molto concreto: negli Usa le vendite di questi libri, iniziate nel ’99, sono aumentate in modo impressionante dopo l’11 settembre. Intanto Daniel Handler scrive sul ”New York Times” di essere sommerso dalle lettere dei suoi piccoli fan, convinti che le infelici storie dei Baudelaire siano sempre vere, oltre che curiosi di sapere se il Conte Olaf è un terrorista. Ciò che soprattutto piace, afferma Handler, è il cuore del messaggio: i grandi non servono a nulla, le autorità non intervengono mai a soccorrere i ragazzi in pericolo, la giustizia è un concetto vano e astratto. E dunque adulti, attenti a voi, siete avvertiti: speranza e solidarietà sono cose che competono ai bambini» (Leonetta Bentivoglio, ”la Repubblica” 18/3/2005).