15 marzo 2005
Tags : Matthew. Sharpe
Sharpe Matthew
• Nato a New York (Stati Uniti) nel 1962 (durante la crisi dei missili con Cuba, quindi tra la fine d’ottobre e l’inizio di novembre). Scrittore. «Si dice che le ragioni per cui un libro ”esplode” sono sempre misteriose: è vero solo in parte. A volte dietro un successo si nascondono ragioni ben individuabili. A volte, ed è il caso de Gli Schwartz, il successo può essere il frutto di un equivoco. Questa, in poche parole, la cronaca dei fatti: [...] lo scrittore Matthew Sharpe propone la sua ultima fatica a una ventina di grossi editori ricevendo in risposta altrettanti rifiuti. Si fa dunque sotto la piccola Soft Skull Press che si aggiudica il romanzo versando un modesto anticipo. Il libro viene pubblicato direttamente in edizione paperback e logica vorrebbe che il suo destino debba essere di passare inosservato o quasi. Invece, ecco che un paio di giornali di grande diffusione lo recensiscono sperticandosi in lodi. Una in particolare, comparsa sul Village Voice, parla di ”capolavoro centrato sull’implosione di una famiglia, commovente quanto Le Correzioni”. Il libro esplode. Dov’è l’equivoco? Nel particolare non certo secondario che Matthew Sharpe e Jonathan Franzen sono due autori diversissimi, praticamente agli antipodi. Oltretutto, il vero tema degli Schwartz non è l’implosione di una famiglia bensì quella fase dell’esistenza in cui ci si sente trasformati in una specie estranea e il mondo sembra crollarti addosso una media di tre quattro volte al giorno. Stiamo ovviamente parlando della melodrammatica fase nota con il nome di adolescenza. Certo, di norma a diciassette anni si vive ancora con i genitori, ma adolescenza e famiglia non sono proprio la stessa cosa. Tanto più che Sharpe descrive un contesto nel quale per un verso o per l’altro gli adulti latitano. In casa Schwartz il matrimonio è finito da un pezzo. La madre, vogliosa di rigeneranti esperienze, dopo il divorzio si è trasferita in California così da potersi dedicare a occasionali incontri con aitanti giardinieri. Il padre, copywriter depresso che va avanti a forza di Prozac, è piombato in coma in seguito all’assunzione accidentale di uno psicofarmaco sbagliato. L’ingrato compito di impedire che il debole focolare domestico si estingua del tutto spetta dunque ai due figli adolescenti abbandonati a se stessi, ed è un compito per il quale i giovani Schwartz non sono attrezzati. L’anima di Chirs è troppo legata a quella del padre esageratamente ”mansueto” e ciò lo ha reso un ragazzo rabbioso, un precoce frustato che flirta con l’idea del suicidio. Cathy, sorella di Chris, ha invece parecchi problemi con una madre che non riesce a stimare, problemi che hanno fatto di lei una giudiziosa ragazza ebrea con vocazioni da santarellina: porta Gesù nel proprio cuore e intende convertirsi al cattolicesimo. La domanda intorno alla quale ruota l’intreccio del romanzo è evidente. Riusciranno i due ragazzi a diventare adulti migliori dei loro genitori o sono invece condannati a replicarne i fallimenti? Il quesito in sé non presenta nulla di originale. perlomeno dai tempi del Giovane Holden che ce lo si pone giungendo a scoraggianti quanto inevitabili conclusioni. Il percorso scelto da Sharpe per arrivare a dirci che il futuro è solo ”un ciclo limitato di crolli e consolazioni” ha però un carattere specifico, una originalità che seppur discutibile non è priva di una precisa ragione di essere. Ed è proprio questa originalità che pone Gli Schwartz su un piano che non si concilia affatto con un romanzo come Le Correzioni. Per sua stessa ammissione Franzen è uno scrittore vecchio stampo che rimpiange la bella epoca in cui i romanzi erano ”il principale mezzo di istruzione sociale”, un uomo che soffre sinceramente nel dover ammettere che mezzi nuovi e ben più potenti si sono impossessati del primato comunicativo, un tempo appannaggio della letteratura. Sharpe no. Anzi, non sembra molto toccato dal problema e se lo è non fa nulla per dimostrare che la cosa gli dispiaccia più di tanto. Accetta il declino del romanzo per quello che è, non disdegnando di adattare la letteratura ai ritmi imposti dalle soap televisive dove i personaggi cercano di strappare il sorriso in qualunque circostanza, tra colpi di scena che si susseguono in modo forsennato. Avviene allora che il padre entri in coma, abbia un ictus, si risvegli. E fin qui va bene. Ma poi? Poi, come niente fosse, la dottoressa che segue la riabilitazione del padre si mette a fare pompini al brufoloso Chris. Poi la santerellina Cathy tenta il suicidio immergendosi nelle acque dell’Oceano Pacifico. Poi Cathy si fa mettere incinta a sedici anni dal migliore amico di Chris il quale, guarda caso, è nero. Poi il nonno muore. Poi la mamma inizia un’incomprensibile relazione sessuale con l’insopportabile padre di un’altra dottoressa che ha in cura il suo ex marito. Poi Chris e Cathy scoprono che il nonno ha lasciato loro un’eredità. Poi di questo passo fino alla conclusione del romanzo che naturalmente non ha un vero e proprio finale. Gli eventi in sé non sono mai davvero inverosimili. la loro esagerata concentrazione a renderli poco probabili, perché tutto accade nell’arco di neanche un anno. Così come esagerati e innaturali appaiono i comportamenti dei vari personaggi. Quello degli Schwartz non è un mondo assurdo in senso stretto. Sarebbe in tutto e per tutto la realtà come la conosciamo non fosse che è in continua fibrillazione. Lo stile semplice ma comunque artato in cui è scritto il romanzo costituisce un elemento di ulteriore stranezza. Frasi come ”ingenti quantità di aria fredda entrarono in casa attraverso la porta d’ingresso” oppure ”tre ore prima di arrivare in California, l’estate arrivò in Connecticut” appaiono volutamente manierate, tipiche dell’autore che ha smesso di credere ciecamente in una letteratura incontaminata. Sharpe esprime con chiarezza il proprio punto di vista quando scrive: ”Non era l’intimità di due figli che piangevano, ma nemmeno qualcosa di falso. Era reale. Ma impacciato”. Questa realtà impacciata nella quale vivono gli Schwartz ricorda un po’ quella dei Peanuts, i bambini a due dimensioni che possono essere meschini e nevrotici come adulti perché nel loro mondo gli adulti non compaiono mai. L’America di Chris e Cathy Schwartz è simile: una nazione che la paura di crescere ha trasformato in una palla di vetro. Niente di ciò che è esterno o reale riesce penetrarvi. In tutto il romanzo c’è un solo indizio che autorizza il lettore a collocare le vicende in un momento preciso nel tempo, una canzone dei Nirvana. Il che è alquanto significativo. Viene così da pensare che Gli Schwartz non parli soltanto di due adolescenti, ma che voglia essere una sorta di romanzo ”iperadolescenziale” su tutta la linea. Viene cioè da chiedersi se con la sua realtà impacciata Sharpe non voglia metterci davanti lo specchio di questa nostra arida epoca dove in molti stentano a perdere il gusto di fare i capricci e in pochi sono disposti a crescere veramente. In sostanza: cosa abbiamo fatto per non meritarci un romanzo come questo? Qualunque sia la risposta, è preferibile che a darla siano i lettori. Comunque non la critica, che scambia i Simpson per i Buddenbrook» (Tommaso Pincio, ”il manifesto” 13/3/2005).