12 marzo 2005
Tags : Aldo. Mondino
Mondino Aldo
• Nato a Torino il 4 ottobre 1938, morto a Torino il 10 marzo 2005. Artista. «[...] uno dei protagonisti della straordinaria generazione di artisti torinesi emersi negli anni ’60, un personaggio che ha interpretato a modo suo la cultura pop e ha poi realizzato in quel periodo anche lavori in stretta sintonia con quelli dei poveristi, esponendo nelle stesse gallerie. La sua vena ludica e la sua ironica concettualità è già ben delineata fin dall’inizio. Per provocare il perbenismo culturale sabaudo sbeffeggia il mito di Casorati presentando quadri con le tipiche figure lineari del maestro da colorare come se fossero disegni di album per bambini. Di spirito poverista sui generis (vicino per certi versi a quello di Boetti) sono due installazioni di notevole importanza: la messa in scena di una ”gara di nuoto” di aringhe affumicate, e la costruzione di una sorte di torrione composto da centinaia di barre di torrone d’Alba, un lavoro quest’ultimo che inaugura la lunga serie di sculture e ”bassorilievi” realizzati con cioccolatini, zollette di zucchero, chicchi di caffè, e addirittura pasta di cioccolato modellata. Sono opere queste caratterizzate da suggestioni neodadaiste e pop, ma soprattutto da una divertita volontà di giocare con l’identità e il senso dei materiali e oggetti legati alla realtà quotidiana e quelli dell’arte, un’attitudine concettuale che mette in moto un cortocircuito fra significazioni diverse del ”gusto”. Per la loro ironica levità antintellettualistica questi lavori precorrono un certo clima postmoderno, quello che caratterizza la ricerca di molti giovani artisti bricoleurs. A partire dalla metà degli Anni 70, più o meno, in particolare durante il suo soggiorno a Parigi, dove frequenta artisti come Arroyo e Adami, ritorna alla pittura, elaborando una linguaggio di raffinato eclettismo citazionista, divertendosi a rivisitare, sempre a modo suo, grandi tendenze come il cubismo e l’espressionismo. Per esempio dipinge sulla tela dei frammenti di nature morte cubiste e li ”incolla” con dei grumi di colore spremuti dal tubetto, oppure inventa uno stile pittorico che assomiglia alla texture delle xilografie. però a partire dagli Anni 80 che la sua ricerca riprende slancio e energia attraverso un ciclo notevolissimo di dipinti ”orientalisti”, ispirati inizialmente a Delacroix. In questi quadri e nei successivi, che mettono in scena la realtà del mondo arabo con i suoi personaggi più caratteristici, ma poi anche rabbini ortodossi, sultani turchi, danze di dervisci, Mondino può esprimere con la massima libertà e con grande piacere vitale la sua autentica vena da pittore puro. Emerge qui, oltre al talento tecnico, una vasta cultura che nasce da un’inesauribile curiosità intellettuale, e la capacità di reinventare in modo attualissimo una pittura narrativa letteraria, non ovviamente nel senso negativo del termine ma in quello più stimolante e inedito. Anche qui l’artista riesce a sorprendere, spiazzando ogni possibile lettura tradizionale della sua pittura. Questo avviene grazie all’utilizzazione come supporti di tele cerate (tipo quelle da tavoli da cucina) con i più diversi tipi di decorazioni, più o meno stereotipate, che fanno da sfondo alle scene dipinte. Altri lavori di grande interesse connessi a questi sono i tappeti orientali le cui decorazioni sono dipinte sulla grezza superficie di pezzi di truciolato poroso. Dunque pittura sì, ma continuamente messa ironicamente in questione dal coinvolgimento di elementi ”bassi”. Nella sua personale alla Biennale di Venezia del 1993, quella diretta da Bonito Oliva, Mondino fa esplodere la ludica vitalità dei sua pittura presentando una serie di grandi quadri tutti dedicati alla vorticosa danza dei dervisci. E in occasione del vernissage mette in scena anche un gruppo di veri dervisci che trasformano la sala in un vero e proprio happening orientaleggiante. Il successo è notevolissimo e per questo motivo il tema dei dervisci diventa uno dei più frequentati. Ma insieme ai quadri Mondino lavora anche su altri percorsi di ricerca. Tra le cose più belle ci sono le sculture. Per esempio la Madre di Boccioni che è un divertentissimo gioco plastico linguistico: il mezzo busto che ritrae la madre dell’artista futurista ha un seno formato da due grosse bocce. Un’altra scultura dello stesso tenore è quella per un’esposizione per la Banca Sella, dove viene esposta una vera e propria sella da cavallo. Tra le sculture più recenti c’è un enorme torsolo di mela rosicchiato, scolpito in marmo bianco, colorato di verde in superficie. Un capolavoro di bricolage è invece il Lampadario Bic, formato da centinaia di penne a sfera sospese. Negli ultimi anni Mondino si interessa anche alla ceramica, come elemento di decoro di quadri, oltre che per lavori molto raffinati come la serie di Iznik, un omaggio alla ceramica turca. L’ultima grande antologica che gli è stata dedicata è quella che si è tenuta alla Pinacoteca di Ravenna [...] intitolata ”Aldologia”» (Francesco Poli, ”La Stampa” 11/3/2005). «Gli piacevano le macchine veloci, le stoffe e i sarti. Gli piacevano le donne e i liquori. Aldo Mondino era il dandy fra i pittori della sua generazione, fra Paolini e Boetti, Pascali e Anselmo. La vita era un gioco dell’arte, una danza, un cioccolatino. Parigi era ancora una giostra per artisti, agli inizi degli anni ’60, dove respirare echi di dada e surrealismo. Palloncini colorati e lampadine, tele di aringhe affumicate: Mondino si divertiva con un arte povera nella quale l’ironia andava ad incrinare il sovente carico di concettualità del far arte negli anni ’60. Eleganza e danza erano due fra i suoi imperativi, che dipingesse le danze dei Dervisci o inalberasse sculture di zucchero e cioccolato, che ritraesse i suoi re o lavorasse sui segni zodiacali di Jarry. Come era capace di innamorarsi di un cappotto di cammello o di un’auto sportiva con le ruote a raggi, così era capace di perder la testa per un babbo natale in plastica sugli sci che s’illuminava mostrando i suoi doni nella gerla e l’orrendo gadget di plastica, attraverso le sue parole, diventava altra cosa, si caricava di quel ”più” che l’avvicinava a diventare un suo prossimo lavoro. A Casazze, vicino ad Altavilla in Monferrato, da anni aveva casa e un grande atelier, se non era in India era lì a lavorare, ad intrattenere i sempre numerosi ospiti e giovani artisti, con l’ironia di un ”luogo” neocoloniale, di sospensione dal reale, dove improvvisamente sul prato di casa potevano apparire dei giocatori di polo, fanciulle con piccoli ombrellini colorati, danzatori, incantatori di serpenti, grandi elefanti con drappeggi. E lui, lì, leggermente ai margini delle sue fantasie con un bicchiere di whiskey in mano a raccontare di quell’opera lontana, fatta per uno dei suoi galleristi eccentrici, un gran telaio con pesce fresco, appeso che ogni mattina andava sostituito con altri branzini, orate, merluzzetti, spigole. Ma quel tempo del gioco da un pò era finito: operazioni ai polmoni, al cuore, grandi bicchieri di acqua minerale. E sempre con l’uscita da ogni operazione la voglia di fare un viaggio o un’altra mostra, provare a lavorare, come faceva ultimamente con i gioielli, a reiventare qualche manufatto che dall’artigianato diventasse arte” (Nico Orengo, ”La Stampa” 11/3/2005).