3 marzo 2005
Tags : Marcello. Lonzi
Lonzi Marcello
• Nato a Livorno il 25 ottobre 1973, morto a Livorno l’11 luglio 2003. «[...] era un rompicoglioni. Uno che in galera non ci sa stare. Uno che si sballa inalando il gas dei fornellini da campo usati in cella per fare il caffè. Marcello Lonzi era uno che protesta. Uno che si taglia da solo la pelle delle braccia pur di farsi notare. Uno che beve detersivo e poi chiede aiuto gridando: ”Appuntato, appuntato”. Marcello Lonzi era un tossico e pure un ladro. Un ladro da quattro soldi: piede di porco e spadino erano i suoi ferri del mestiere, auto e mercati erano i suoi obiettivi. Marcello Lonzi era un ragazzo. Ventinove anni, terza media e una sola condanna definitiva: otto mesi per tentato furto, da scontare nel carcere livornese delle Sughere, dopo che la Polizia lo aveva arrestato in flagrante mentre ubriaco si arrampicava su un’impalcatura. [...] L’11 luglio 2003, come recitano i risultati dell’autopsia, è rimasto vittima di un caso di ”morte improvvisa”. Forse causata da un’aritmia maligna, forse da qualcosa che aveva preso (non è mai stata eseguita una perizia tossicologica). Restano però le foto del suo cadavere che mostrano un volto solcato da tre profonde ferite e una schiena percorsa da lunghi segni bianchi. Restano anche centinaia di articoli riprodotti sui siti Internet del movimento anarchico e non global. Resta infine il dolore di sua madre, Maria Ciuffi, una donna povera e gentile che continua a ripetere: ”Mio figlio è stato assassinato”. Maria di prove non ne ha. Sostiene però che il compagno di cella di Marcello, Gabriele G., nel corso di una riunione organizzata dal centro sociale livornese Gozzilla, ha ammesso di aver mentito nei suoi interrogatori davanti ai magistrati: ”Gabriele ci ha detto che mio figlio era uscito per l’ora d’aria e che lì era stato picchiato. Poi, tenendo gli occhi bassi, ha aggiunto che alle Sughere esiste una squadretta di guardie carcerarie che mena. Io mi sono adirata. Lo abbiamo insultato un po’ tutti e lui è fuggito via”. Se sia vero o falso [...] è impossibile saperlo. [...] il gip di Livorno ha archiviato l’indagine contro ignoti per la morte di Lonzi aperta in seguito alle denunce della madre. Leggendo gli atti, quella del giudice appare come una decisione obbligata. La consulenza medico legale esclude che il giovane sia rimasto vittima di violenza. Le ferite sul volto di Marcello, secondo l’esperto, sono state causate da un urto contro la cancellata della cella avvenuto quando il detenuto, forse per l’aritmia, ha perso i sensi. La costola incrinata scoperta sezionando il cadavere è frutto solo del massaggio cardiaco effettuato dal personale sanitario delle Sughere per tentare la rianimazione. I tre principali testimoni, una guardia carceraria e due detenuti, non hanno parlato di violenze. Gabriele G., il suo compagno di cella, ha spiegato di essersi addormentato dopo la cena, avvenuta verso le 18, e di essere stato risvegliato verso le 20 da un rumore sordo. A quel punto avrebbe visto Marcello disteso per terra, mentre gemeva col volto sanguinante. Un altro carcerato ha addirittura aggiunto che verso le 19.40 Marcello lo ha invitato in cella per bere il caffè e che 10 minuti dopo aveva sentito le richieste di aiuto. Tutto chiaro insomma? No, non è tutto chiaro. Perché quella sulla morte di Marcello Lonzi è un’indagine sulla morte di un detenuto di serie B. Per rendersene conto basta guardare che cosa è accaduto dopo il decesso. In carcere arrivano i carabinieri, fotografano e riprendono tutto con una telecamera, con loro c’è anche il pm, Roberto Pennisi, e dopo poco arriva pure il medico legale che, il giorno successivo a partire dalle 15, effettuerà l’autopsia. Al termine dei primi accertamenti Pennisi incarica le forze dell’ordine di avvertire del decesso la famiglia. Il mattino dopo verso le 9 viene contattata una sorellastra di Marcello (stesso padre, madri diverse). A lei viene detto che c’è la possibilità di nominare un consulente di parte, ma il tempo è poco, perché i rilievi inizieranno nel primo pomeriggio. La madre di Marcello, che vive a Pisa, viene invece avvisata solo verso mezzogiorno. Il risultato di tanta celerità è che l’indagine necroscopica sul corpo del ragazzo avviene esclusivamente alla presenza del consulente del pm e di due ufficiali di polizia giudiziaria. Forse Marcello è davvero morto per cause naturali. Forse davvero, come ipotizza il medico, alla base del decesso ci sono una ”ipertrofia ventricolare sinistra” e anni di abuso di eroina e cocaina. Il fatto è che nessun altro esperto può avanzare un’ipotesi alternativa. Così Marcello va al camposanto, mentre in città cresce la rabbia. I centri sociali entrano in contatto con la madre, una serie di detenuti scrivono al ”Tirreno” sostenendo di aver ”paura anche di andare ai colloqui perché non sappiamo mai cosa può succedere”. Un altro denuncia di essere stato a suo volta picchiato. Salta fuori la storia di un pestaggio avvenuto nel 2000 e conclusasi con una serie di condanne nei confronti di alcuni agenti di custodia. Si susseguono manifestazioni e la curva del Livorno espone uno striscione su Marcello quando allo stadio arriva il presidente Carlo Azeglio Ciampi. Maria Ciuffi racconta di aver ricevuto una serie di telefonate anonime che confermano i pestaggi. Il risultato è che il provveditore regionale alle carceri finisce per ammettere l’esistenza alle Sughere delle cosiddette ”celle lisce”, celle d’isolamento senza suppellettili (solo branda e materasso) dove i detenuti venivano reclusi, su disposizione di un dirigente sanitario, senza abiti né oggetti personali. Mentre la stampa locale sottolinea come nel carcere nel 2004 si siano verificati tre suicidi in tre mesi. In questo clima i legali di Maria Ciuffi, gli avvocati Vittorio Trupiano e Sergio Simpatico, chiedono che venga riesumata la salma di Marcello e annunciano un ricorso alla Commissione europea antitortura. Inutilmente. Il giudice archivierà tutto allo stato degli atti. Due mesi dopo quell’ordinanza scoppiano le bombe degli anarchici. Prendono di mira i carabinieri. Un’assurda concatenazione di eventi ha scatenato un’assurda violenza. Trupiano dice: ”Tutto questo non ha senso. L’arma va ringraziata per la professionalità dimostrata. Se non avessero scattato quelle foto oggi non potremmo proseguire la nostra battaglia per la verità sulla morte di Marcello”» (Peter Gomez, ”L’Espresso” 17/3/2005). «[...] era un piccolo pregiudicato. Pisano, tossicodipendente, lo arrestarono per il furto di un’auto. Patteggiò. Doveva scontare nove mesi, al quarto lo trovarono morto in cella. Ed è morto senza un colpevole, essendo stato catalogato il suo come ”decesso per cause naturali”. Ma la madre di Marcello, la signora Maria Ciuffi, non ci ha mai creduto. Ha fatto una lunga vana battaglia per ribaltare questa verità ufficiale. Inutilmente. [...] il 10 dicembre 2004, il gip di Livorno archiviava definitivamente il caso. ”Fu una decisione - dice l’avvocato Vittorio Trupiano, il suo legale - che ci deluse. Penso sempre che a uccidere il giovane sia stato un pestaggio brutale”. Al momento dell’archiviazione, lei, la madre, che aveva rivolto appelli a Ciampi (’Ho paura che prevalga la volontà di nascondere la verità...”), esposto striscioni alle finestre, presentato denunce, sollecitato interrogazioni parlamentari, scrisse queste amare parole: ”Il caso Lonzi non è chiuso fino a quando io non saprò la verità. Mio figlio è morto; ho sempre detto alla stampa che non era un santo, ma non meritava di morire. Avevo solo lui e se la legge esiste ancora, perché ora ho dei dubbi, venga fuori la verità. Sapevo che avrebbero insabbiato, ma speravo nella giustizia. Mi sono sbagliata”. Adesso ci pensano gli anarco-insurrezionalisti a risollevare a modo loro, a suon di bombe, il caso. [...] Le conclusioni della magistratura furono che Lonzi morì per un infarto. Nel tempo, però, la famiglia è entrata in possesso di alcune fotografie che sono obiettivamente agghiaccianti: il giovane è steso in terra, con il volto e il torace insanguinato, molte ecchimosi anche sulla schiena, una costola rotta. Cosa se ne doveva dedurre? ”Per noi erano la prova del pestaggio: Marcello aveva i segni di almeno venti colpi sulla schiena. Per la Procura erano i segni di una caduta contro un termosifone, a seguito di un infarto. E il resto erano le tracce degli sforzi di rianimazione”, ricostruisce l’avvocato Trupiano. E [...] gli trema la voce dalla rabbia. Del caso si sono interessati diversi deputati di sinistra. Risultano tre diverse interrogazioni, firmate da Giuliano Pisapia (Rifondazione), Stefano Boco (Verdi) e Daria Bonfietti (Ds). A tutte rispose con un’unica lettera il ministro della Giustizia, Roberto Castelli: ”Gli accertamenti ispettivi effettuati - scriveva - e la ricostruzione della dinamica dell’evento sembrerebbero confermare che la morte del detenuto sia avvenuta per cause naturali”. Aggiungeva che ”le lesioni effettivamente riscontrate sul cadavere / spiegabili con la caduta per terra del Lonzi, privo di sensi per arresto cardiaco, in ambiente angusto contrassegnato dalla presenza di sporgenze spigolose”. Naturalmente agli occhi del mondo anarco-insurrezionalista tutte queste schermaglie parlamentari non contano niente. Anzi, sono soltanto la prova del tempo perso. Loro credono nell’azione diretta. Nell’esplosivo come megafono [...]» (’La Stampa” 3/3/2005).