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 2005  marzo 03 Giovedì calendario

Saunders George

• Amarillo (Stati Uniti) 2 dicembre 1958. Scrittore • «[...] Considerato un maestro del racconto breve, ha lasciato la sua carriera di esperto petrolifero ed è diventato professore di scrittura creativa. Oggi i ragazzi fanno a gomitate pur di essere ammessi ai suoi corsi, alla Syracuse University. E questo è già un fatto eccezionale: ammirato e stimato dal mondo della cultura (Thomas Pynchon lo definisce ”un autore aggraziato, tenebroso, autentico e divertente”), Saunders è anche diventato un fenomeno ”cult” fra i giovani, che vedono in lui una specie di ”Walt Disney fatto di acido”. [...] I suoi sono racconti brevi, spesso brevissimi. Eppure sembrano capitoli di un unico romanzo. Perché allora non provare la misura del romanzo? ”E’ una questione di indole. Io riesco a scrivere dieci pagine che cantano. E quando scrivo cerco sempre una voce cantante. All’epoca di CivilWarLand, poi, facevo un lavoro tecnico, e dovevo scrivere testi di contenuto tecnico. Testi in cui bisognava essere stringati, semplici, diretti. Nel frattempo scrivevo anche i miei racconti. Spesso li scrivevo in autobus. E tentavo di essere veloce, telegrafico. Presto, presto, presto. E poi tagliavo, tagliavo, tagliavo [...] Io taglio tantissimo. E’ quasi una scommessa. Magari ho tre righe, e nella prima riga ci sono dieci parole, e mi chiedo: se taglio queste dieci parole, il lettore mi seguirà? Perché per me scrivere è come andare in moto, con un side-car su cui viaggia il lettore. Quando taglio è come affrontare una curva stretta: se il lettore mi resta al fianco, è una grandissima conquista [...] Quando ho scritto CivilWarLand avevo 33 anni. Avevo due bambine, lavoravo ma non guadagnavo abbastanza. Facevo questo stupido lavoro, e per la prima volta in vita mia capivo il capitalismo dall’interno. Avevo una laurea, un lavoro, eppure mi sentivo stritolato. E mi chiedevo come doveva essere per gli altri, quelli meno fortunati. Cominciamo tutti pieni di speranza, di attese, di stabilità. E poi tanti di questi sogni ci si sgretolano in mano. Mi sono detto: questo è il momento di scrivere, se non lo fai ora non lo fai mai più. Ho spinto il pedale dell’esagerazione, e ho tentato di raccontare cosa si prova a vivere nell’America contemporanea [...] Non è stato un desiderio che mi è venuto da bambino. Mi è nato quando ho cominciato a lavorare nei pozzi di petrolio in Asia. Erano gli anni Ottanta e sono finito a Sumatra. Mi trovai in mezzo a gente del petrolio che trasudava soldi e viveva una vita decadente. E poi andavamo ai pozzi, e intorno a noi c’era questa umanità sprofondata nella povertà. Io avevo studiato esplorazione petrolifera durante il boom del petrolio. Un sottofondo molto repubblicano, molto reaganiano. Ma quel che vedevo non era giusto. Il cuore mi diceva che non era giusto. E in un certo modo obliquo, il desiderio di scrivere è venuto da quell’esperienza [...] Io sono cresciuto da cattolico a Chicago, in una stagione di grande impegno per la Chiesa. Sono cresciuto nello spirito di compassione per gli oppressi, nel dialogo. Negli ultimi anni, dall’undici settembre, ho invece sentito la rabbia crescere intorno a me, ho visto le famiglie divise. Io stesso ho incontrato un vecchio amico, una persona che da giovane era un’anima gentile, compassionevole, e l’ho ritrovato completamente schierato con la destra, con la guerra. Allora ho cominciato a scrivere un racconto su di lui. Ma poi mi sono accorto che non era letteratura. Era la mia rabbia che parlava, era una lite con lui. Ho capito che bisognava fare un passo indietro. L’arte non deve contribuire ad allargare questa rabbia che ci divide, deve trascenderla. Così ho scritto invece dei saggi di quasi-giornalismo, perché è comunque necessario agitare le acque quando l’informazione diventa ottusa e le bugie vengono trattate come verità”» (Anna Guaita, ”Il Messaggero” 19/2/2005).