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 2005  marzo 03 Giovedì calendario

Piotrovskij Mikhail

• Borisovic. Nato a Yerevan (Armenia) il 9 dicembre 1944. «Lo chiamano l’ultimo zar, e non per scherzo. Uno zar che parla perfettamente inglese, ha visto Yamamoto e Calvin Klein, veste in abito e t-shirt neri più sciarpa blu, conosce almeno una decina di lingue ed è orientalista di fama internazionale. Uno zar che, in quanto tale, abita nell’Hermitage, ma ha scelto come sala del trono, una sessantina di metri quadrati del Palazzo d’Inverno. Ufficio pieno di cose belle, arazzi alle pareti, pile pericolanti di volumi, colonne di carte e fascicoli ammucchiati, foto in cornice argento dove re, regine e presidenti del pianeta intero sorridono a lui: Mikhail Borisovic Piotrovskij [...] direttore [...] del più grande museo del mondo. Come uno zar è succeduto a suo padre, Boris Borisovic Piotrovskij, che ha guidato l’Hermitage sovietico dal 1964 al 1990. Ma come uomo della nuova Russia ha sposato un’economista specializzata in finanza internazionale. Come studioso ha scritto tanti di quei libri e collezionato tanti di quei premi che è impossibile citarli. E come leggenda vivente ha ricevuto nel 1997 dall’International Astronomic Union l’onore di veder battezzato col suo nome l’appena scoperto pianeta Piotrovskij. [...] ha trasformato il museo in struttura globale, ha trovato finanziamenti e sponsor, ha moltiplicato le sedi (Londra, Amsterdam, Los Angeles, Las Vegas), ha esportato marchio e mostre in tutto il mondo. [...] sta costruendo il museo globale? ”Universale, semmai. Per sua stessa natura l’Hermitage è museo mondiale, dove ogni abitante del pianeta può ritrovare oggetti e opere della sua cultura. Ma il suo patrimonio è talmente vasto da rendere impossibile mostrarlo tutto. Per questo è bene che le opere viaggino, che le mostre divengano itineranti, che le collezioni siano accessibili al più vasto numero di visitatori possibili. [...] il Guggenheim non ha abbastanza opere da mostrare in tutti i musei del mondo; ha una collezione molto limitata al Novecento; e un linguaggio quello dell’arte contemporanea da sempre internazionale. L’arte antica invece è nazionale e deve essere interpretata. Le nostre mostre non si limitano a portare in giro pezzi stupefacenti, hanno fini scientifici e didattici. [...] E ogni nostra sede ha un’attività didattica ed è costruita con gli stessi principi e compiti della casa madre. Il Guggenheim invece è una forma di confederazione, un marchio che raccoglie realtà diversissime fra loro come Venezia e Bilbao. L’unica cosa in comune tra noi è la volontà di rendere l’arte accessibile al mondo. Ma nel far questo loro abbracciano l’’American way’ noi la ’Russian way’ [...] Non possiamo fermare la globalizzazione, ma possiamo cercare di metterci dentro qualcosa di buono. Dico agli americani: Voi ci portate McDonald’s, noi vi portiamo l’Hermitage [...] Io non voglio cambiare niente nell’Hermitage. un grande museo, di grande tradizione. Forse l’unico museo del XIX secolo che ha ancora lo stile del XIX secolo. Ma bisogna cambiare proprio per mantenerlo così, con la sua tradizione di grande museo imperiale, con le sue immense collezioni che testimoniano tutte le culture del mondo, con le sue tante finestre e la sua luce naturale [...] Io credo nel lavoro di squadra. Fin dall’inizio ho sentito il bisogno di confrontarmi con altri colleghi, poi ho costituito un International Advisory Council di cui fanno parte i migliori direttori e curatori di musei del mondo. Ogni anno qui a San Pietroburgo c’è un incontro di due giorni per affrontare i problemi dell’Hermitage. E si discute di pubbliche relazioni, di Found Raising, di comunicazione, di come trattare cose che noi, prima, non conoscevamo. Molti di loro ci hanno messo in contatto con i loro sponsor che sono diventati poi anche i nostri [...] All’inizio ci sono state le grandi compagnie straniere che approdavano in Russia. Hanno capito che bisognava aiutare la cultura del paese ospite, non solo per beneficenza, ma anche perché se ne aveva un ritorno. L’Ibm, ad esempio ci ha aiutato a sviluppare il sito, ma il sito visitato da milioni di persone ha regalato buona pubblicità all’Ibm. E le compagnie ora sanno che sostenere l’Hermitage è un’operazione di successo. Poi ci hanno aiutato i governi: gli olandesi, che sono nostri buoni amici, hanno proposto di restaurare la stanza di Rembrandt. Ma appena finito ho capito che era meglio spostare i Rembrandt e loro hanno finito per restaurare tutte le sale olandesi. Quando gli italiani hanno visto il risultato, hanno contribuito per le loro sale: 50 per cento noi, 50 Banca Intesa. Un giorno infine il presidente Chirac è venuto in visita e si è detto ’dobbiamo far qualcosa anche noi’ e ha coinvolto il Crédite Agricole per l’ala francese [...] Se il Museo è pagato interamente dallo Stato, il direttore è solo un piccolo burocrate che per ogni inezia deve chiedere permesso a un altro piccolo burocrate del Ministero[...]» (Alessandra Mammì, ”L’Espresso” 3/3/2005).