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 2005  marzo 03 Giovedì calendario

ASASHORYU

(Dolgorsuren Dagvadorj) Ulan Bator (Mongolia) 27 settembre 1980. Lottatore di Sumo • «C’è un mongolo sul trono dello sport più giapponese di tutti. [...] la sua supremazia di yokozuna, ovvero di grande campione, il massimo titolo al quale possano aspirare i professionisti. [...] Il sumo ha conservato fino a oggi, anzi fino a ieri, ovvero all’avvento degli stranieri sul sacro spazio del doyho, il cerchio entro il quale si azzuffano i lottatori, la sua mitica essenza religiosa. La lotta tradizionale sta allo sport in Giappone come Olimpia antica ai Giochi moderni. Di più. E’ la sola forma di combattimento veramente giapponese: tutte le arti marziali, antiche e moderne, sono spurie, hanno influenze esterne: cinesi, coreane, indocinesi. Il sumo per nulla: viene dalle steppe dell’Asia come la lingua del Giappone. Somiglia al kuresh dei mongoli, per i quali la lotta rimane sport nazionale, armamentario dell’educazione dei giovani nomadi assieme alla monta del cavallo. Dalla scuola della lotta viene infatti Dolgorsuren Dagvadorj di Ulan Bator, mossosi verso il Giappone col deliberato proposito di diventare l’imperatore del sumo. [...] alla dissacrazione dello sport degli imperatori ha contribuito non poco anche il parvenu Asashoryu già con la rottura del protocollo al ritiro delbouquet per il vincitore: con la mano sinistra, mentre la tradizione impone in modo indefettibile la destra. “Sono mancino”, risponde il numero 1 del ranking che i giapponesi dicono esser privo di rispetto e imperturbabilità, come si converrebbe a uno yokozuna. Invece Asashoryu esulta da plebeo eaccompagna la fama di lottatore invincibile con incidenti dentro e fuori del cerchio di gara. Nel 2003 si è beccato una squalifica per scorrettezza sul connazionale Kyokushuzan; la discussione è degenerata in rissa negli spogliatoi. Insomma, un vero barbaro, tant’è che i puristi giapponesi lo chiamano Genghis Khan o con un più dispregiativo Il coatto di Bator per la sua mancanza di hinkaku, il superiore senso di dignità e grazia che si voleva nei sumotori. Asashoryu ha penato non poco per conquistarsi i cuori del Sol Levante, se mai vi è riuscito. Ma tiene in piedi lo show. Non che in Giappone manchino giganti capaci di sormontare gli scarsi 137 chili del numero uno. Le tecniche di spinta, presa e sbilanciamento non sono di grande difficoltà, semmai è più arduo conservarsi tonici e agili: ma sono sempre meno quelli che scelgono di sottoporsi a una vita sacrificata da dieta ipercalorica da allevamento, palestra, gare sfiancanti, violenti scontri fisici e infortuni. Si fatica a muovere quella mole farcita di muscoli e grassi. Non a caso gli incontri durano pochi secondi. E senza stazza (non esistono le categorie di peso), per eccellere ci vuole la furia. Quella che i mongoli hanno portato dentro al dohyo. “Il sumo è duro -sentenzia Asashoryu- e i lottatori giapponesi non sono bravi perchè il benessere li ha indeboliti”. Nato in una famiglia di lottatori, dal padre ai fratelli, uno dei quali portava la bandiera della Mongolia ad Atlanta `96, Delgorsuren non si cura più di tanto di accondiscendere valori ai quali nemmeno i giapponesi sembrano credere più [...]» (Marco Perisse, “il manifesto” 2/3/2005).