Gabriele Beccaria, La Stampa 2/3/2005, pag. 14., 2 marzo 2005
Da un decennio Cristopher Clark della Cornell University (stato di New York) sta studiando il linguaggio delle balene grazie all’aiuto di idrofoni disseminati in tutti i mari del globo
Da un decennio Cristopher Clark della Cornell University (stato di New York) sta studiando il linguaggio delle balene grazie all’aiuto di idrofoni disseminati in tutti i mari del globo. Lo scienziato ha scoperto che un messaggio lanciato, ad esempio, dalle acque di Puerto Rico può correre per oltre 2.500 chilometri e approdare ancora intatto e perfettamente comprensibile davanti al Canada. Ma lo smog acustico impedisce ai cetacei di comunicare: le migliaia di navi che in ogni istante incrociano le autostrade dei mari sono sorgenti mobili di frastuono e si combinano con le offese acustiche inflitte dai sonar militari. Secondo i calcoli, il rumore sottomarino raddoppia di intensità ogni decennio e di conseguenza l’universo di riferimento sonoro di ogni balena si riduce in progressione. Significa che in 20 anni il suo raggio medio di percezione cade da 1.600 chilometri a 400, limitando le capacità di comunicazione e orientamento, oltre che di alimentazione e incontro con i propri simili. Per Clark «è un processo inesorabile: interferiamo con l’universo delle balene, fino al punto di renderle disfunzionali». Generiamo confusione, inducendole alla nevrosi e così si spiegano comportamenti altrimenti misteriosi, come i suicidi periodici sulle spiagge.