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 2005  marzo 02 Mercoledì calendario

Threadgill Henry

• Chicago (Stati Uniti) 15 febbraio 1944. Compositore. Polistrumentista • «[...] crea composizioni di matrice jazzistica e vastamente black che utilizzano forme e strumenti della musica orchestrale (soprattutto da camera) nonché etnica, un percorso iniziato con il gruppo Very Very Circus e approdato alla due ultime, visionarie incisioni del 2001: Everybody’s Mouth a Book e Up Popped the Two Lips (Make A Move on PI Recordings). Del resto Threadgill mette a frutto studi classici, pratica strumentale con bande militari, formazioni jazz e gruppi che suonavano ai matrimoni. Trasferitosi nel ’75 nell’effervescente New York della loft scene, collabora con scrittori, ballerini, attori, jazzmen registrando ben 150 album suoi. Da qualche anno, divide il suo tempo tra gli Usa e l’India, si dedica meno ai concerti e più alla composizione, lavorando su vari progetti tra cui il sestetto Zooid: Jose Davila (tuba), Dana Leong (violoncello), Tarik Benbrahim (oud), Liberty Ellman (chitarra) e Elliot Kavee (batteria), strumentisti con cui collabora da lunga data con l’eccezione di Kavee. Ogni concerto è una sfida, dato che il musicista scrive materiale nuovo che è in gran parte eversivo rispetto ad alcuni parametri del jazz comunemente inteso. Da un punto di vista timbrico, attorno al suo sax alto ed al suo flauto (che spesso tacciono) ruotano un ottone grave, la batteria e tre strumenti a corde acustici: l’oud ha una chiara connotazione etnica ma non viene usato in quel senso, il suo suono non temperato si integra alla chitarra (che richiama il blues) e al violoncello (che evoca quartetti d’archi e musica da camera). Già il sound collettivo prodotto dal sestetto è al di fuori della vulgata jazzistica, anche se gli strumenti creano una rete di note innegabilmente black. In secondo luogo non c’è nessun riferimento alle forme della tradizione neroamericana e questo è elemento costante da decenni nella poetica di Threadgill e di uno dei suoi - più o meno diretti - discepoli, Steve Coleman. A quanto è dato intuire - ed il senso di spiazzamento è uno degli effetti migliori generati dal polistrumentista - si agisce su cicli ritmici e melodici molto lunghi, con gli strumenti che si muovono quasi sempre in polifonia e poliritmia, con un gioco di incastri e intarsi estremamente prezioso quanto possente. La batteria non scandisce mai (altra sintonia con Coleman) un tempo straight jazz con il consueto effetto swing: in alcuni momenti, semmai, emerge un’accentazione funky del tutto decontestualizzata, quasi astratta ma carica di energia. Se è lecito un paragone viene alla mente il Prime Time di Ornette Coleman con alcune sostanziose differenze: l’armolodia ornettiana era piuttosto anarchica mentre Zooid è fermamente guidato da Threadgill che, spesso, non suona ma ascolta, dirige, orienta. [...]» (Luigi Onori, ”il manifesto” 23/2/2005).