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 2005  marzo 02 Mercoledì calendario

CAPRARA

CAPRARA Massimo Portici (Napoli) 7 aprile 1922, Milano 16 giugno 2009. Politico • «[...] segretario di Palmiro Togliatti. [...] figura di primo piano del Pci fino alla crisi e alla radiazione, nel ’69. Fondatore del Manifesto e poi, di nuovo, ”eretico”. [...] Il suo maestro, dice, è Luigi Giussani. [...] ”Eravamo coetanei: gli anni dell’impegno pubblico hanno visto lui alla Cattolica e nei primi passi di Cl, e me, contemporaneamente, nel Partito comunista e alla Camera. Luoghi diversissimi, eppure impermeabili alla sua opera e al suo insegnamento. Fu all’inizio degli anni ’70 che mi giunse il segnale del suo carisma. Ero stato, allora, da poco radiato dal Pci perché tra i fondatori del gruppo di opposizione interna del ’Manifesto’, quando cominciai a fare attenzione alle voci degli universitari, soprattutto di Milano. Parlavano con trasporto e con gioia di un prete che stava rinnovando la loro vita con la ragione e la fede in un Cristo inedito e presente, il cui mistero dava argomenti all’essere ’dalla parte di Dio’. Qualcuno mi raccontò, aumentando il mio allarme e il mio sconcerto, che egli era solito parlare anche di noi, dei comunisti, dicendo che erano come gli altri: ’conservatori, non veri rivoluzionari: l’unica vera rivoluzione è quella di Cristo che per noi si è fatto uomo’. Non era il modo comune in cui ci si rivolgeva a noi ’rivoluzionari di professione’, come dicevamo di essere, ma un modo nuovo e intrepido di ’pensarlo e farlo’. Mi intrigò questa "provocazione" avvincente, sicché volli saperne di più. Mi informai meglio e così crebbe la mia volontà di mettermi in discussione, non mutando già da allora le mie rigide e coriacee convinzioni, ma aprendo una finestra nel mondo, nel costrittivo mio modo di vivere, nell’inquietudine della vita e dei suoi drammi anche politici. Da quelle trascinanti parole sorse in me un desiderio di apertura e di liberazione che mi portò assai al di sopra e al di là del mio vissuto. Accettai quella che mi sembrava una sfida concreta e, nei molti anni della mia professione di giornalista e inviato in tutto il mondo, praticai il mio itinerario verso la fede. Quel piccolo prete fu il mio gigantesco suscitatore di fede gioiosa. Tutt’altro che integralista egli mi apparve, subito, ma un uomo che convincendo mostrava come essere persone fuori dagli schemi. Conobbi allora, e dal di fuori ammirai, i seguaci del Movimento, che a lui si riferivano nella scuola e nelle professioni, dando testimonianza di coraggio, comunione, amicizia: l’esatto contrario di ciò che avevo patito nell’esperienza comunista. Il mio itinerario con don Giussani l’ho vissuto come umanizzazione di Cristo attraverso il Vangelo”. [...] definisce Togliatti un ”non-uomo”, doppio e antiumano come il suo Pci. [...] ”La memoria di Togliatti, scaltro organizzatore politico e culturale, è per me quella di un’esperienza disumana e del rifiuto di una trascendenza che completi la ragione post illuminista. Non banalmente ateo era Togliatti, ma negatore con i fatti della qualifica dell’uomo che è in ogni uomo. [...] La mia vita nel comunismo è stata collettivamente sola: stavo con molti altri, ma con nessuno con il cuore. L’amicizia, gli incontri sono avvenuti quando mi sono liberato dalla camicia di forza dell’ideologia e dei suoi ceppi e costrizioni. [...]» (Marina Corradi, ”Avvenire” 1/3/2005). «[…] ”Una mattina degli anni Quaranta, d’estate, alle Botteghe Oscure, fui chiamato dall’Ufficio Quadri, una specie di fureria di informazioni ultrasegrete, diretto dal senatore Eduardo D’Onofrio. Costui s’era portato dall’Urss, dove aveva lavorato a lungo, un seguito di funzionari italiani reticenti e discreti, dai modi felpati e sobri, abituati a parlare russo fra loro e a escludere altri interlocutori. Mi aspettava uno di di loro, Cicalini di cognome, che era noto come il Mago”. Soprannome che s’era guadagnato preparando scomparti segreti per valigie a doppio fondo. E che provò a conservare truccando perfino le intercapedini del cuore. Senza alcun risultato. ”Mi disse: ”Abbiamo pensato che è arrivato per te il momento di sposarti. La tua compagna sarà Marcella De Francesco. Oppure sua sorella Giuliana. Puoi scegliere tu”. Ero sorpreso e intimidito. Ringraziai per la possibilità di scelta, tentando di mantenere il dialogo su un terreno di gioco, tanto mi sembrava assurdo e imbarazzante. D’accordo, dissi, comincerò a fare la corte a Marcella, così mi troverò avanti nel programma. Lei già lavorava con Togliatti come addetta al telefono segreto e diretto con il Cremlino, che il segretario del Partito gestiva a Roma dalle parti di via Salaria”. Ma la liaison, ovviamente, neppure iniziò. E l’incantesimo del Mago fu sbeffeggiato dalla realtà: Massimo sposò per amore una figlia dell’aristocrazia papalina e Marcella divise felicemente la vita con Maurizio Ferrara che, poco dopo, fu nominato corrispondente de L’’Unità” a Mosca. Un attimo, però: e Togliatti? Mica approvò il matrimonio ribelle del suo collaboratore più fidato? Lo approvò eccome, invece. ”Pensava di potere avere qualche indiscrezione sui cardinali, che erano un suo tema di caccia preferito” […]» (Enzo D’Errico, ”Corriere della Sera” 23/2/2005).