Varie, 2 marzo 2005
Tags : Nasr Hamid Abu Zayd
AbuZayd NasrHamid
• Tanta (Egitto) 7 ottobre 1943, Il Cairo (Egitto) 5 luglio 2010. Islamologo • «[…] vive in esilio in Olanda dove insegna all’Università di Leiden e Utrecht. Studioso di islamistica, accusato di apostasia e per questo condannato nel 1995 a divorziare dalla moglie Ibtihal da un tribunale civile egiziano, ingiuriato nelle moschee della regione, minacciato di morte, ha trovato rifugio con la compagna in quella che fino a poco tempo fa era per antonomasia la terra delle libertà e che oggi, invece, dopo l’assassinio di Theo Van Gogh vede agitarsi le minacce del fondamentalismo. Abu Zayd agli occhi dei suoi nemici era un apostata (murtadd) perché ridicolizzava il Corano adombrando dubbi su una lettura alla lettera di nozioni come il paradiso, l’inferno, il giorno della resurrezione, i prodigi e in definitiva trattando il sacro testo non come parola di Dio fatta libro, e quindi solo commentabile in termini lessicologici, ma al contrario normalmente interpretabile secondo le leggi attuali dell’ermeneutica, usando la ragione e non solo la religione, distinguendo il senso ultimo del messaggio divino dalla forma storica assunta nel VII secolo per potersi comunicare agli uomini. Un sistema in sintonia con quello di Muhammad Mahmud Taha, il riformista sudanese condannato come apostata e ucciso nel 1985, un discorso diametralmente opposto a quello degli islamici radicali e alla loro predicata restaurazione di un modello ideale che trova nel Corano preso alla lettera, e fuori da ogni contesto storico, i suoi fondamenti, gli stessi che avrebbero assicurato ai musulmani la prosperità e il successo nelle epoche precedenti. Lo scandalo in Abu Zayd consisteva nella sua strenua volontà, carica comunque di fede, di leggere il Corano secondo un approccio moderno scaturito da un’educazione razionale, che, negli studi condotti in America come in Giappone, si nutriva anche delle teorie di Freud, Darwin, Gadamer, Heidegger, Ricoeur e lo conduceva a fare, a parole e negli scritti, una scelta per la democrazia. Della sua formazione - prima al kuttab (la scuola coranica per bambini) di Quhafa, il paesino dove è nato nel 1943, fino agli anni americani e alla condanna -, dei suoi convincimenti religiosi, dell’amore e della delusione nei confronti dell’Egitto, di libertà e sha´ria, Abu Zayd parla a lungo e vivacemente nel suo Una vita con l’Islam scritto insieme a Navid Kermani (Il Mulino, pagg. 230, euro 12,50) […]. Abu Zayd è un eroe del pensiero libero, paga in prima persona l’inimicizia dei fondamentalisti, ma in lui permane una certa ambiguità, la stessa del resto che ritroviamo in quella estesa corrente di islamici modernisti […], riformisti sì ma intrisi di ostilità nei confronti di Israele, dell’America, di un Occidente che dicono imperialista e rapace: un tarlo che corrode il mondo arabo (e non solo) e avvelena tante menti indirizzandole proprio contro quel nemico che i rais indicano ai loro popoli per mantenere il potere dispotico. Sì, quando Zayd sostiene che gli Hezbollah non sono dei terroristi, quando manifesta tanta animosità verso l’America o accusa l’Olanda di non essere abbastanza aperta al multi-culturalismo, scopre un nodo ancora tutto da sciogliere. […] Sadat fu ucciso accusato di apostasia per aver riconosciuto Israele. Khomeini condannò Rushdie per lo stesso “delitto”, e sempre per “apostasia” il Sudan giustiziò Taha nel 1985. Nel ’92 fu l’intellettuale egiziano Faraj Foda ad essere assassinato dagli estremisti. I fondamentalisti spesso accusano di apostasia i nemici musulmani, lo hanno fatto anche con gli iracheni che sono andati a votare. Sembra che l’apostasia sia un tema centrale per l’islamismo radicale. È così? “È diventata importante da quando il mondo musulmano è dominato da una forte crisi di identità. Ha l’effetto di isolare l’individuo o il gruppo che viene condannato. L’apostasia è importante in ogni tradizione religiosa quando la comunità di credenti è sotto una minaccia, vera o immaginaria. Le persone che hanno una visione diversa da quella largamente accettata sembrano minare la solidarietà comunitaria. […]”. L’apostata musulmano commette un crimine contro Dio e contro la società. È un peccato regolato dalla Sha’ria? È presente nel Corano? “Certo che è nel Corano, ma non viene associato a nessuna punizione terrena. La letteratura della Sha’ria comunque scende nel dettaglio sulle condizioni che possono far giudicare qualcuno un apostata, e sul periodo che deve intercorrere prima dell’esecuzione capitale per permettere al peccatore di pentirsi. I giuristi differiscono su questo intervallo di tempo, ma tutti limitano la pena di morte agli uomini; per le donne ci sono l’esilio o la prigione”. In cosa consisteva la sua “apostasia”? “La Corte disse tra l’altro che nei miei libri avevo negato l’esistenza di alcune creature, come gli angeli o i diavoli, presenti nel Corano; descritto come mitiche certe immagini coraniche sul paradiso e l’inferno; affermato che il testo del Corano era umano; rivendicato l’uso della ragione per sostituire i concetti derivati dalla lettura letterale con idee più umane e progressiste, in particolare riguardo all’eredità, le donne, i cristiani, gli ebrei e le donne schiave […] Credo che tutto il Corano vada seguito. Ma applicarlo ciecamente, voglio dire senza un approccio storico-critico che permetta di individuarne il significato secondo l’attuale situazione sociale e culturale, porta a una situazione arcaica. Il criterio sta nel come si decide le dimensioni ‘storiche’, ‘culturali’ e ‘linguistiche’ in cui la parola di Dio si è espressa e quanto, di conseguenza, si è contaminata con la storia. In altre parole, i musulmani devono realizzare che nel Corano è presente la struttura socio-politica e culturale dell’Arabia del VII secolo. Il milieu di oggi presenta visioni del mondo diverse che dovrebbero a loro volta incoraggiare a produrre una diversa interpretazione” […]» (Susanna Nirenstein, “la Repubblica” 24/2/2005).