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 2005  febbraio 17 Giovedì calendario

Fin qui abbiamo visto che la trasformazione delle specie selvatiche in specie coltivate implica mutamenti visibili: frutti più grossi, dolci e carnosi, semi più oleosi, fibre più lunghe

Fin qui abbiamo visto che la trasformazione delle specie selvatiche in specie coltivate implica mutamenti visibili: frutti più grossi, dolci e carnosi, semi più oleosi, fibre più lunghe. I proto-agricoltori raccolsero qualche esemplare che possedeva caratteristiche evidentemente eccezionali e lo fecero inconsciamente germinare, compiendo così i primi passi sulla strada delle domesticazione. Non è tutto, però: esistono almeno altri quattro tipi di cambiamento che non coinvolgono caratteristiche immediatamente percepibili come le dimensioni di una bacca. I mutamenti avvennero grazie ad altri fattori e ad altri tipi di pressioni selettive. Un primo tipo di modificazioni riguarda il meccanismo di dispersione dei semi. Molte piante hanno evoluto dei sistemi specializzati per spargerli in giro, il che fa sì che gli uomini non li possano raccogliere in modo efficiente. Queste specie diventano utili solo se una mutazione genetica impedisce loro di compiere la dispersione; possono così essere raccolte e avviarsi verso la domesticazione. Un buon esempio è dato dal pisello, i cui semi (la parte commestibile) sono racchiusi in un baccello. I piselli selvatici devono in qualche modo far uscire i semi da questa custodia per farli germinare, e così hanno evoluto un meccanismo che fa letteralmente esplodere il baccello al tempo della maturazione. Alcune piante soffrono di una mutazione del gene che dà il via all’esplosione; questa caratteristica è letale in natura, perché i semi non possono germinare, ma è utile all’uomo, che può raccogliere i baccelli integri, aprirli e portarsi i semi a casa; così può iniziare la selezione delle pianti mutanti. Lo stesso accadde ad altre piante "esplosive" in natura, come le lenticchie, il papavero e il lino. I semi del grano e dell’orzo selvatico non sono racchiusi in un baccello, ma stanno in cima a uno stelo, che all’epoca della maturazione si mette a vibrare per farli cadere al suolo. Basta la mutazione di un solo gene per far sì che questo non avvenga; anche qui, una mutazione fatale in natura diventa utile all’uomo: i semi del grano mutante non si spargono in giro, ma aspettano pazientemente sullo stelo che qualcuno li raccolga e li porti a casa. I primi agricoltori propagarono questa mutazione piantando solo semi del tipo utile, e capovolsero in questo modo il corso dell’evoluzione naturale: un gene utile alla pianta divenne sgradito, e fu selezionato al suo posto un gene letale. Questo primissimo esempio di miglioramento di una specie da parte dell’uomo risale a più di 10000 anni fa, e segna l’inizio dell’agricoltura nella Mezzaluna Fertile. Un altro tipo di mutazione è ancora meno evidente. Le piante annue che vivono in zone dal clima instabile non possono permettersi di rilasciare tutti i semi allo stesso momento: se così fosse basterebbero un’improvvisa gelata o un periodo di siccità per uccidere tutti i germogli, precludendo ogni possibilità di riproduzione. Queste specie, allora, hanno imparato ad accrescere le loro chances grazie a meccanismi inibitori della germinazione, che rendono i semi inattivi anche per anni; in questo modo, se una calamità naturale uccide un gran numero di germogli, ci sarà sempre qualche seme che potrà germinare più tardi, in condizioni migliori. Un trucco molto usato dalle piante selvatiche per raggiungere il loro scopo è avvolgere i semi in una corazza o in qualche involucro protettivo: fanno così, ad esempio, il grano, l’orzo, i piselli, il lino e il girasole. Pensate cosa può essere successo nei primi stadi dell’agricoltura: i proto-contadini scoprono, provando e riprovando, che piantando certi semi nella terra arata e irrigata ottengono dei bei raccolti; ma alcuni semi germinano immediatamente e danno origine ad altre piante che possono essere seminate l’anno successivo, mentre alcuni non ne vogliono sapere di germogliare. Deve esserci stata qualche pianta mutante priva di involucri o di meccanismi inibitori della germinazione, i cui semi germogliavano subito e tutt’insieme. I proto-contadini devono essersene accorti senz’altro, e hanno cominciato a selezionare questo carattere proprio come hanno fatto per i frutti più grandi e succosi, grazie al circolo virtuoso semina-crescita-raccolto-semina. Queste modifiche, proprio come quelle nei meccanismi di dispersione del seme, hanno caratterizzato la domesticazione del grano, dell’orzo, dei piselli e di tante altre specie. L’ultimo cambiamento invisibile ha a che fare con la riproduzione delle piante. Come abbiamo visto, un tipico meccanismo di domesticazione prende le mosse dal fatto che una mutazione genetica (semi più grossi, frutti più dolci ecc.) rende una certa pianta più utile del solito all’uomo. Se questi mutanti s’incrociano con altri individui normali, il loro carattere è subito affievolito o sparisce del tutto. Come può essersi conservato a beneficio dei primi contadini? La mutazione si conserva in tutte le specie che si riproducono "autonomamente": ad esempio in quelle che si propagano per via vegetativa o che sono ermafroditi sufficienti. Ma quasi tutte le piante in natura sono ermafroditi insufficienti che hanno bisogno di altri individui per la riproduzione (in cui la parte maschile di uno feconda la parte femminile dell’altro e viceversa) oppure sono dioiche, cioè si trovano in due sessi come i mammiferi.