13 febbraio 2005
Tags : Jean Luc. Duez
Duez JeanLuc
• Nato a Roubaix (Francia) il 18 luglio 1949. Artista. «[...] sfiora i due metri e [...] ha creato un fenomeno di strada che non è soltanto la storia di una privata ossessione, ma anche un incantesimo collettivo, l’espressione del nostro bisogno di illusione e, volendo, una riflessione sul destino dell´arte (o di qualcosa che le somiglia) ai tempi dell’esposizione mediatica. Con un imprevedibile lieto fine. Comincia nel 2001. Parigi è ancora sotto ”l’effetto Amelie”. La gente circola per le strade aspettandosi che dalla macchina per le fototessera esca al suo passaggio il viso di cui s’innamorerà, che sull’asfalto quella stessa persona abbia disegnato il percorso per raggiungerla. Ed ecco che, improvvisa, compare la scritta Amour. sulla serranda di un giornalaio, sulla panchina di un giardino, sul muretto accanto al canale, ma soprattutto sui marciapiedi. Sempre uguale e inconfondibile: inclinata, gentile, sottolineata. Con un punto alla fine, come se non esistesse possibilità di replica. tracciata con una vernice cancellabile, ma chi la trova preferisce in genere lasciarla: decine di auto cominciano a portarla in giro, ciascuna attira migliaia di sguardi al giorno. Ogni parigino vede la scritta almeno una volta. E si chiede che cosa rappresenti. Si parla di pubblicità, di un logo che precede la commercializzazione di un prodotto, del nuovo film con Audrey Tatou. Su Internet appaiono mappe con i luoghi in cui è possibile leggere Amour. Il quotidiano ”Humanité” scrive: ” una forma di religione. La ripetizione ossessiva di qualcosa di insignificante ne determina il fascino. In questo modo l’arte inventa la realtà”. Un altro quotidiano, ”Libération”, vola più basso e, seguendo le tracce sul marciapiede, arriva all’autore delle scritte [...] Jean Luc Duez [...] grafico pubblicitario, disoccupato, deluso. La giornalista Ondine Millot, benché sdegnata per la propensione alla logorrea dell’intervistato, gli dedica una pagina. ”Facendomi sembrare un mezzo matto”, recrimina monsieur Amour. Viene fuori che Duez è stato lasciato da una donna che amava, dopo due anni di relazione. Per riconquistarla ha cominciato a scriverle Je t’aime sui muri lungo il percorso da casa all’ufficio. Nient’affatto intenerita, lei si è rivolta al giudice e ha ottenuto un´ordinanza restrittiva che impedisce i graffiti d’affetto. lì che Duez passa dal particolare al generale, dai confini senza mistero dello specifico a quell’oceano di possibilità che è l’insignificante. Comincia a uscire ogni sera a mezzanotte con il suo pennarellone bianco e si prescrive una posologia dell’amore: scriverlo cento volte, due per ogni strada, possibilmente negli angoli, dove l’occhio cade e il piede non calpesta. Fa dei consigli del giudice (’non toccare la proprietà privata”) una strategia motivata: ”Il marciapiede è l’ideale perché occorre inchinarsi per scriverci e amore è umiltà”. Genera entusiasmi: ”Chi mi coglieva sul fatto sembrava aver visto Babbo Natale. Ho ricevuto regali, sorrisi, due persone mi hanno detto che ho salvato loro la vita”. Chiede a chi lo vede di mantenere il segreto e viene esaudito. Fino all’intervista con ”Liberatiòn”. La rivelazione dell’esistenza di un uomo e di una storia pateticamente comune dietro la leggenda di strada dovrebbe farne svanire la fascinazione. In fondo, se continuiamo ad alzare sguardi in bilico tra rispetto e sospetto verso la scritta ”Dio c’è” sui cavalcavia delle autostrade è solo perché non è stato mai sorpreso a tracciarla uno spretato convertito in carrozziere.Invece, il mito di monsieur Amour cresce. Alejandro Jodorowsky, lo scrittore sciamano che si lascia spesso prendere la mano, scrive: ” un santo civile, un poeta rivoluzionario, il suo è un esperimento di psicomagia sociale”. Un rapper francese si fa scrivere sul braccio e poi ottiene un tatuaggio che ricalca la parola ”magica”. Qualcuno comincia a tracciare Love sui marciapiedi di Glasgow. Un tipo prende l’aereo da Parigi e scrive Amore per cento volte in una notte sui sampietrini di Roma, dove viene cancellato da un De cchè?. Duez fa scuola, letteralmente. [...] Adesso escono in gruppo: Amour è diventato un esercizio collettivo [...] Ha registrato il marchio per ogni possibile uso e rifiutato qualsiasi proposta di commercializzazione, senza neppure ascoltare la cifra. [...] Duez è dogmatico. Per lui esistono soltanto i marciapiedi, cerca angoli dove la gente arriva solo con gli occhi (sotto al cestino dei rifiuti, a pochi centimetri dal semaforo, nelle rientranze di un edificio). Si china e pulisce il selciato con le mani o sputando su un fazzoletto di carta. Poi, lentamente, come fosse la prima volta, con estrema precisione, senza staccare mai il pennarellone, scrive Amour. C’è del metodo nella follia, ma anche viceversa. Si intuisce che celebra un rito, necessariamente immutabile. [...] Duez la pensa come Shakespeare: ”Non è amore quel che muta quando incontra un mutamento”. [...]» (Gabriele Romagnoli, ”la Repubblica” 13/2/2005).