Varie, 11 febbraio 2005
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Rusesabagina Paul
• Murama-Gitarama (Ruanda) 15 giugno 1954 • «Lo hanno [...] ribattezzato lo “Schindler africano”, ma lui si chiama Paul, Paul Rusesabagina. Ai più questo nome non suggerisce nulla, eppure Paul ha salvato la vita di 1.268 persone durante il genocidio avvenuto [...] in Ruanda, quando gli estremisti dell’etnia hutu, aizzati dalla stazione radiofonica Rtml, sterminarono a colpi di macete non solo i tutsi, ribattezzati “scarafaggi”, ma anche gli hutu moderati. In soli cento giorni morirono un milione di persone. [...] manager hutu dell’Hotel Mille Collines di Kigali, sfruttando una rete di conoscenza sviluppate in anni di impeccabile servizio, complice qualche bottiglia di ottimo whisky, pregiati sigari cubani e le laute mance lasciate dai facoltosi clienti dell’albergo, usò coraggio, astuzia intelligenza per dare rifugio non solo alla propria famiglia, ma a migliaia di tutsi che tentavano di sottrarsi a una morte sicura. Così, mentre in pochi giorni i massacri trasformarono Kigali in un enorme cimitero a cielo aperto, Paul comprò a colpi di dollari i suoi “scarafaggi”, accolse orfani e religiosi, uomini, donne, vecchi e bambini, procurò loro del cibo e stanze pulite, lottò con i denti per la loro sicurezza, minacciò l’esercito hutu, si aggrappò ai suoi contatti europei e rischiò la propria vita dimostrando che a volte basta davvero un uomo solo per fare la differenza. Il tutto mentre le Nazioni Unite riducevano il contingente di pace da 2.500 a 270 soldati e u n migliaio di militari si limitarono a recuperare i propri compatrioti per poi abbandonare il paese. [...]» (Alessandra De Luca, “Avvenire” 10/2/2005). «Il coraggio di un uomo qualunque. Paul Rusesabagina era direttore di un albergo di lusso a Kigali, in Rwanda, quando nell’aprile 1994 scoppiò la guerra civile, che produsse oltre un milione di vittime. “Il mondo chiuse gli occhi, lui aprì le braccia”, recita l’incipit del film che racconta la vera storia di Paul che, insieme alla sua famiglia, dette rifugio nell’albergo e salvò la vita a più di 1000 africani dell’etnia Tutsi, perseguitati dagli Hutu. […] Dice Paul: “Non penso di essere stato un eroe. Io ero semplicemente il direttore di un albergo: svolgevo il mio lavoro e quello che ho fatto è stato solo dettato dalla mia coscienza di uomo”. Diecimila morti al giorno, 400 ogni ora, 7 al minuto, questo il tragico bilancio del genocidio: il terzo, per entità della strage, del Novecento. Racconta ancora Paul, che dal 1996 vive a Bruxelles con moglie e figli, per fortuna tutti salvi: “Non ho agito per ragioni politiche. Prima che si scatenasse quell’orrore, ero un ingenuo, pensavo solo alla mia attività, ai miei familiari. Ma quando ho cominciato a vedere dei tranquilli vicini di casa, che uscivano per andare a uccidere, a colpi di macete, altre persone, ho cominciato a capire che qualcosa mi era sfuggito”. Da quel momento Paul, come una sorta di Schindler africano, ha sfruttato le sue conoscenze, i suoi contatti di lavoro per salvare il numero più alto possibile di vite umane: “In quei giorni, non avevo tempo di pensare, né paura di morire, perché ero certo che sarei stato ucciso. Ciò che ho visto intorno a me, non potrò più dimenticarlo”. Nel 2003, Paul è tornato in Rwanda con il regista George, per realizzare il film: “Ho avuto l’accoglienza fantastica dei sopravvissuti che mi erano grati: mi hanno abbracciato con le lacrime agli occhi. Spero che questo film serva a scuotere le coscienze, affinché certi massacri non avvengano più”. […]» (Emilia Costantini, “Corriere della Sera” 8/3/2005).