Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2005  febbraio 09 Mercoledì calendario

[Scacchi] La notizia che il leader degli Sciiti, Sistani, «odia gli scacchi» può aver fatto sorridere

[Scacchi] La notizia che il leader degli Sciiti, Sistani, «odia gli scacchi» può aver fatto sorridere. Ma in realtà è perfettamente in linea con i suoi principi islamici. Anzi, l’ostilità delle «autorità religiose» verso gli scacchi è nata oltre mille e cinquecento anni fa, sin dai tempi in cui il gioco si diffuse a Bisanzio e presso i califfi di Baghdad. Del resto all’epoca non c’era califfo che non fosse appassionato di scacchi e anche nel famoso Le Mille e una Notte i riferimenti al gioco sono numerosissimi. Il «clero» arabo cominciò ad osteggiare gli scacchi perché erano cosi «affascinanti» da assorbire tutto l’interesse e le energie di chi giocava, cosi da distogliere da ogni altra attività, anche dagli obblighi religiosi. L’ipotesi che un nuovo «dio» potesse offuscare l’importanza della religione, provocò la condanna degli scacchi, anche se non netta come quella per i giochi d’azzardo. Lo stesso Maometto aveva personalmente affermato di disapprovare tutti i passatempi, eccetto tre: il cavallo, l’arco, le mogli. E si tramanda che una volta un cugino di Maometto, Ali, passando accanto ad un gruppo di giocatori di scacchi, abbia gridato con sdegno: «Forse non siete stati creati per cose più grandi?» Per superare la condanna, vennero scomodati giuristi, come il famoso Ash-Shafi che asserì che gli scacchi non erano un «passatempo» ma un «esercizio mentale per la strategia militare». Ma soprattutto ne venne evidenziato il carattere scientifico. Va per esempio ricordato, come studioso di matematica applicata agli scacchi, il famoso Mohammed ben Musa, di origine persiana, dagli arabi detto «el Kuarezmi»: da questo appellativo derivò il termine «algoritmo», mentre dalle prime due parole con cui incomincia il suo principale libro di aritmetica è derivato il termine «algebra». Anche in Occidente gli scacchi incontrarono l’ostilità del clero e della Chiesa. Una delle prime testimonianze sul gioco degli scacchi in Italia è costituita da una lettera che San Pier Damiani, il santo anacoreta che Dante incontrerà in Paradiso, allora cardinale di Ostia, scrisse nell’ottobre del 1061 a papa Alessandro II (Anselmo da Baggio, 1061-1073), scagliandosi violentemente contro il gioco, definendolo «disonesto, assurdo e libidinoso», e ne chiese e ottenne la messa al bando. Pier Damiani informava il papa di aver punito un vescovo fiorentino che a causa degli scacchi aveva totalmente trascurato i propri doveri religiosi. Nel 1128 san Bernardo di Chiaravalle, emanando le regole per l’ordine dei Templari, metteva gli scacchi al bando. Poi nel 1212 la Chiesa ribadì la proibizione al gioco in occasione del Concilio plenario di Parigi. A Siena nel 1426 San Bernardino affermò che uno dei suoi frati, Matteo da Cecilia, aveva bruciato «duomila settecento scacchieri in uno dì a Barzelona, e convertì molte anime». Fu Giovanni dè Medici, figlio di Lorenzo il Magnifico, nato nel 1475, ad aprire la strada per la revoca della condanna ecclesiastica: fin da giovane grande appassionato di scacchi, continuò ad essere un importante mecenate per i giocatori dell’epoca anche quando nel 1513 divenne papa con il nome di Leone X. Negli otto anni del suo pontificato, Leone X protesse il gioco e ne favorì la diffusione.