Varie, 7 febbraio 2005
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Daki Mohamed
• Casablanca (Marocco) 29 marzo 1965. Terrorista. «Per gli investigatori Mohamed Daki è ”un pesce piccolo che lavora per i pesci grossi”: lo ”specialista” capace di procurare documenti falsi per l’organizzazione. Un personaggio minore nel mondo di tenebra dell’estremismo radicale, ma legato alla cerchia dei terroristi coinvolti nella pianificazione dell’11 settembre. A cominciare da Ramzi Binalshibh, l’ufficiale di Al Qaeda ritenuto uno dei coordinatori dell’attacco. Daki, davanti ai giudici italiani e tedeschi, insiste sulla sua totale estraneità a trame e complotti. La storia che racconta è quella di un giovane marocchino che ha attraversato il Mediterraneo in cerca di una laurea. Come altri nordafricani voleva semplicemente cambiare vita. Ma è curioso che durante le sue peregrinazioni in Europa sia entrato più volte in contatto con figure qaediste e non certo di secondo livello. Forse sono semplici coincidenze. Oppure c’è dell’altro. La ricostruzione di Daki fa pensare ad una vita qualsiasi. Nasce a Casablanca e l’ultimo indirizzo conosciuto è nel quartiere Maarif. Una zona storica, dove vivevano le comunità italiana e spagnola. Case popolari che si alternano a palazzi ristrutturati all’ombra del Twin Center, le torri gemelle di Casablanca. Emigrato in Europa, Daki si sposa e mette su famiglia, anche se ora il carcere l’ha separato dalla moglie e da un figlio [...] Dal 1997 al 2003 Mohamed lo specialista fa la spola tra la Germania e l’Italia in cerca di una sistemazione per sé e per il figlio. Vita non facile. Problemi con la sanatoria, leggi sull’immigrazione, permessi. Daki comunque si iscrive e frequenta per quattro anni la facoltà di ingegneria elettronica al Politecnico di Amburgo, la stessa di Mohammed Atta. ”Come altri miei connazionali volevo laurearmi, chiedere il visto per gli Stati Uniti e trovare lavoro” racconterà ai magistrati. Invece la sua strada, secondo quanto emerge dalle carte processuali, è meno lineare. Ad Amburgo – prima coincidenza – Daki frequenta un paio di moschee ultraradicali, Al Quds e Al Muhajiroun. Fin qui nulla di grave. Andare a pregare non rappresenta certo una colpa né un sospetto. Ma il marocchino non si limita a curare la fede. Con il passare del tempo – seconda coincidenza – conosce personalmente e frequenta degli estremisti che nel 2001 diventeranno famosi. Il primo è Ramzi Binalshibh. Oggi detenuto in una delle prigioni segrete americane, è ritenuto uno dei cervelli dell’11 settembre. Lui stesso se ne è vantato sulla rete tv panaraba ”Al Jazira”. Binalshibh usa la Germania come base d’appoggio, va e viene dall’Afghanistan. E a Daki chiede quantomeno di poter usare il suo indirizzo per ricevere posta: Hastedtolatz 27, 21073 Amburgo. ”Si trattava solo di firmare un pezzo di carta”, spiega il marocchino alla polizia tedesca e poi al giudice Salvini, difendendosi così dall’accusa di aver abitato per un anno nello stesso appartamento del superterrorista. I suoi contatti amburghesi non si fermano qui: Daki ammette di aver conosciuto altri indagati per l’11 settembre. Come Mounir Motassadeq e Said Bahaji, quest’ultimo in fuga dai giorni della strage e ai primi posti nella lista dei most wanted. Dicono che si nasconda nella Tortuga qaedista, al confine tra Pakistan ed Afghanistan. Questi contatti attraggono l’attenzione del procuratore tedesco che scava a lungo nella vita di Daki. La polizia federale (Bka) accerta che nel giugno 1999 il marocchino chiede ed ottiene in Germania un visto decennale per gli Usa. La data solleva interesse. Alcuni dei dirottatori-kamikaze si muovono dalla Germania all’America a partire da quell’anno, preparano il terreno. Le indagini tedesche su Daki mettono in luce questi e altri suoi rapporti sospetti, ma nei dossier non c’è nulla di incriminante. Per l’11 settembre, Daki resta testimone. Ma benché in apparenza ”bruciato”, continua ad allargare la sua rete di relazioni negli ambienti oltranzisti. Alla moschea Al Quds – dove andava a pregare anche Mohammed Atta – conosce Abderrazak. Algerino, radicale, è considerato un reclutatore in Europa per conto del gruppo curdo-iracheno Al Ansar e si muove nell’ombra di Abu Musab Al Zarkawi, il tagliatore di teste. proprio ”lo sceicco Abderrazak” a mettere nei guai Daki, che dopo l’11 settembre si è trasferito a Reggio Emilia, chiedendogli di procurare un documento per un ”fratello” somalo diretto in Iraq. Nelle intercettazioni della Digos milanese c’è un passaggio interessante. L’algerino, parlando di Daki, assicura che è fidato perché ”è stato con noi di là”. Per la polizia è un riferimento a un possibile soggiorno in Afghanistan. qui che ”lo specialista” ha imparato a trattare i documenti e a parlare in codice? Su questo possibile passato afghano non esistono conferme. Sicuramente Daki è attento. infatti lui ad accorgersi dei poliziotti che lo stanno pedinando e insieme all’amico somalo cerca di seminarli. Arrestato, sconta a San Vittore tutta la condanna per il passaporto falso: 1 anno e 10 mesi. La sentenza del giudice Forleo, pur confermando che lavorava per i guerriglieri iracheni, lo assolve dall’accusa di terrorismo. Tornato libero, Daki ora progetta di emigrare in Norvegia. Lo Stato dove, guarda caso, ha ottenuto asilo politico, benché a sua volta indagato per terrorismo, il mullah Krekar, l’emiro che continua a guidare dall’Europa i guerriglieri (o terroristi?) di Al Ansar» (Paolo Biondani, Guido Olimpio, ”Corriere della Sera” 6/2/2005).