varie, 2 febbraio 2005
SIINO
SIINO ANGELO San Giuseppe Jato (Palermo) 1944. Mafioso. Arrestato nel 1991 e condannato per associazione a delinquere, nel 1997 finì di scontare la pena. Poco dopo essere stato rilasciato, iniziò a collaborare con la giustizia diventando uno dei testimoni chiave in processi di primo piano, a cominciare da quelli per le stragi di Capaci e di via D’Amelio. «Ero il ministro dei Lavori pubblici della mafia» • «Mio zio Salvatore Celeste, uno dei più importanti capi di Cosa Nostra, è stato il solo mafioso della mia famiglia. Salvatore Giuliano apparteneva alla sua cosca. A cinque anni incontrai Giuliano, da quel giorno sognai di essere come lui...» • «I mafiosi avevano la forza militare, io avevo un gran cervello. Eravamo un’invincibile macchina da guerra. In quegli anni ero una slot-machine. Giravo ogni giorno con centinaia di milioni: un lasciapassare nel mondo dell’illegalità, uno scudo contro le insidie della mafia e dei nemici. Sono stato legato a Cosa Nostra da un lungo sodalizio ma non sono un uomo d’onore. Pungiuta, giuramento, patti di sangue... Non mi hanno mai affascinato. Questi riti pagani non appartengono alla mia cultura, al mio modo di vivere».