L’Indipendente, 30/01/2005, 30 gennaio 2005
Gente di classe e parvenu. Pensare però ai ricchi romani come a un blocco compatto di persone dedite soltanto alla crapula e alle orgie è come ritenere tutti i benestanti europei intenti, da giugno a settembre, a ballare sui cubi del Billionaire di Porto Cervo
Gente di classe e parvenu. Pensare però ai ricchi romani come a un blocco compatto di persone dedite soltanto alla crapula e alle orgie è come ritenere tutti i benestanti europei intenti, da giugno a settembre, a ballare sui cubi del Billionaire di Porto Cervo. Plinio il Giovane, raffinato e colto, racconta quanto gradevoli fossero le frugali cene nella villa di Traiano, a Civitavecchia, composte da cibo semplice buono, vino bevuto con misura e piacevoli discussioni. Ma se per molti un piatto di lumache, qualche frutto, un pezzetto di carne e magari qualcuno che divide le sue buone letture coi commensali sono gli ingredienti perfetti per una splendida serata, per altri il piacere dell’eccesso e dell’ostentazione era irrinunciabile. Questa dinamica inizia a diffondersi soprattutto dopo il disfacimento dei valori dell’età repubblicana. Da un dato momento l’alta società romana appare tutta tesa ai piaceri dell’amore e del palato e la percezione del decadimento generale distilla un senso di precarietà che degenera sovente nell’eccesso. Idealmente la cena di Trimalcione descritta da Petronio è del tutto simile alla Grande abbuffata del graffiante Ferreri. In due epoche diverse, la classe dirigente si stordisce nell’eccesso in attesa della fine: questo è il concetto che unisce due opere per altri versi naturalmente lontane.