L’Indipendente, 30/01/2005, 30 gennaio 2005
Trovate spettacolari. Certo, anche all’epoca è considerato un po’ cafone offrire banchetti sfrenati, però sembra quasi che il brontolio dei moralisti sia un ulteriore motivo per inventare trovate sempre più spettacolari
Trovate spettacolari. Certo, anche all’epoca è considerato un po’ cafone offrire banchetti sfrenati, però sembra quasi che il brontolio dei moralisti sia un ulteriore motivo per inventare trovate sempre più spettacolari. Stupire gli amici e indignare i bacchettoni: questa è l’essenza del divertimento per i ricconi dell’epoca. Siamo lontani anni luce dall’intensità del Pranzo di Babette descritto dalla Blixen. Non c’è ricerca di perfezione nella preparazione, di armonia delle portate, nessuno si concentra sulla educazione del gusto. Il sublime non è nella sostanza, ma nella forma e nella quantità. Petronio descrive con acume e sarcasmo la cena del liberto Trimalcione. L’arricchito tanghero appronta con infantile fantasia una serie di colpi di teatro. Dalle pietanze arrostite escono uccelli vivi pronti a prendere il volo, i servi inscenano una rissa e bastonandosi rompono anfore da cui escono ostriche pronte per essere distribuite agli ospiti. Quindi viene portato in tavola un cinghiale avanzato dalla sera prima, affinché tutti sappiano che in quella casa l’abbondanza è tale che non si riesce mai a finire ciò che è stato cucinato, e sul grugno l’animale ha un berretto da liberto, dato che per le 24 ore precedenti è stato libero. Infine, racconta Petronio, arriva in tavola un enorme porco arrosto. Alla vista della portata Trimalcione rotea gli occhi, impreca e manda a chiamare il cuoco: l’animale non è stato eviscerato. Ne nasce una scenata di fronte agli ospiti con lo chef che piagnucola scuse mentre il suo padrone bercia. Alla fine è lo stesso Trimalcione che, davanti a tutti, squarta il maiale. Dopo avere affondato le mani nel ventre, ne tira fuori, come fossero budella, collane di salsicce e sanguinacci tra lo stupore di tutti. E da quanto ci risulta Trimalcione non è certo l’unico a cercare spasmodicamente la sorpresa. Il pettegolo Cicerone malignava che a casa di Lucullo si mangiasse bene soltanto quando c’erano i banchetti. Per sbugiardare la malalingua Lucullo si accordò quindi con i suoi servi. Quando chiedeva di «apparecchiare nella sala d’Apollo» ci doveva essere una sorta di allarme generale nelle cucine per approntare un lauto banchetto nel minore tempo possibile, affinché i suoi ospiti pensassero che in quella casa l’abbondanza fosse regola, e non eccezione. E del resto Lucullo alla fine risolse ogni possibile equivoco spiegando alla servitù che lui, in effetti, da solo non pranzava mai. Al massimo «Lucullo pranzava con Lucullo», cioè era ospite di se stesso, e quindi da trattare col maggiore riguardo possibile.