L’Indipendente, 30/01/2005, 30 gennaio 2005
Gusti e preparazioni. Ciò che c’era comunque era sufficiente, volendo, per una cucina molto elaborata
Gusti e preparazioni. Ciò che c’era comunque era sufficiente, volendo, per una cucina molto elaborata. A noi basta leggere il trattato di cucina del celebre cuoco Apicio per avere un elenco di incredibili piatti: ci sono lingue di pappagallo parlante, due salse diverse per lo struzzo lesso, ricette per vulve di scrofa fertili e sterili. Alla base di ogni piatto c’è generalmente il garum, una salsetta a base di interiora di pesce putrefatte e passate al setaccio e aceto di vino. Sembra repellente ma a rifletterci il suo sapore non doveva essere molto diverso da quello di una speziata pasta d’acciughe. Il garum è diffuso in ogni casa, serve per insaporire tutto e prende in parte il posto del sale, che è molto costoso. Qualcuno se lo fa a casa, ma ci sono numerose aziende che lo producono in forma semi industriale e alcuni marchi sono rinomati per la qualità del loro prodotto. Pensare che gli antichi apprezzassero gli stessi sapori a cui noi siamo abituati è un’ingenuità. Gli anni che ci separano da loro sono un po’ come i chilometri che ci dividono oggi da popolazioni lontane, con abitudini alimentari tanto diverse dalle nostre. Anche questa considerazione non è però applicabile senza fare una serie di distinguo. I poveri tutto sommato mangiano pietanze che potremmo persino apprezzare: polente di cereali (ma non di mais perché arriverà secoli dopo), zuppe di legumi e farro, formaggio simile a ricotta, frutta e, di rado, un po’ di selvaggina, pollame o carne suina. I ricchi invece, soprattutto se desiderosi di intraprendere una faticosa scalata sociale, sanno che devono approntare stupefacenti banchetti e affrontare spese folli per soddisfare le ganasce di chi in seguito li dovrà sostenere nella loro ascesa. E anche nei sapori le mense più ricche prediligono quelli cangianti, come l’agrodolce del pesce mischiato al succo d’uva e ai datteri, o la sorpresa che scaturisce quando la lingua ha a che fare con il pepe piccante mischiato con dolcissimo miele.