Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2005  gennaio 30 Domenica calendario

Quando si osserva un’epoca da lontano capita sovente di vedere solo i rilievi più sorprendenti. Ma se riuscissimo a aguzzare la vista, a concentrarci sui particolari, allora potremmo vedere ciò che spesso sfugge

Quando si osserva un’epoca da lontano capita sovente di vedere solo i rilievi più sorprendenti. Ma se riuscissimo a aguzzare la vista, a concentrarci sui particolari, allora potremmo vedere ciò che spesso sfugge. Così scopriremmo che a Roma, duemila anni fa, c’era chi divorava ventri di cervo, talloni di cammello, murene, vulve di scrofa. E che a pochi isolati, altri erano perfettamente soddisfatti di avere in tavola cavoli bolliti conditi con un filo d’olio e un bicchiere di vino aspro. Alcuni volgevano un ultimo sguardo al tramonto prima di prendere sonno, altri tiravano mattina insieme a prostitute, buffoni e balli di danzatrici di Cadige. Poche cose danno l’idea della complessità della società romana come il cibo. Dietetica, ostentazione, moralità, religione, status: tutto questo, e altro ancora, si riverberava sui deschi apparecchiati. La regola, che come tale, soprattutto a Roma, ammetteva molte eccezioni, prescriveva la sveglia all’alba. Al risveglio si beveva solo qualche sorso d’acqua. Poi, a mezza mattina c’era il jentaculum, ossia una merendina veloce con pane e formaggio. A mezzodì si faceva un intervallo con il prandium, ovvero pane e frutta, magari un pezzo di carne. Ma niente di più e di meglio. Infine, la sera, con una giornata di lavoro alle spalle e dopo essere stati alle terme, si cenava, e questo era il pasto più importante della giornata. In cucina c’era di tutto ma mancava molto: niente pomodori, patate, cacao. Ciliegie e albicocche primizie d’importazione. Carne bovina vietata perché il bue era sacro. Lo zucchero non c’era, a parte il misterioso e costosissimo saccaron che arrivava dalla Persia. Pure di fagioli non c’era traccia, ma a questo si poneva rimedio con lenticchie, fave, ceci e cicerchie. E poi niente agrumi (a parte i cedri), niente peperoni e peperoncini (quindi il sapore piccante si otteneva solo con il pepe, spezia d’importazione) e ovviamente nessuno si sognava nemmeno tè e caffè.