L’Indipendente, 16/01/2005, 16 gennaio 2005
Balsamo di glicerina. Ma in questa storia ci sono anche Vladimir Vorobiov e Boris Zbarskij. Il primo era titolare di una cattedra di anatomia all’università di Kharkov quando venne coinvolto nell’impresa
Balsamo di glicerina. Ma in questa storia ci sono anche Vladimir Vorobiov e Boris Zbarskij. Il primo era titolare di una cattedra di anatomia all’università di Kharkov quando venne coinvolto nell’impresa. «Socievole, amante dei piaceri della vita, delle donne, del vino e del teatro, era un uomo che non cercava di guadagnarsi i favori del regime». Boris Zbarskij era vicedirettore dell’Istituto di biochimica. «L’imbalsamazione del leader aveva incontestabilmente contribuito a spingerlo verso le alte sfere del potere», dirà Il’ja, che a tredici anni andava a scuola con Vasilij, il figlio di Stalin. All’inizio di febbraio Boris Il’ic Zbarskij venne coinvolto nel progetto e espresse perplessità sull’ipotesi che Il’ic Ul’janov potesse essere congelato. Tirò anche in ballo Vladimir Vorobiov, che il 28 febbraio entrò nel Mausoleo per visitare la salma. Il corpo era stato preso in cura da Abrikossov, un anatomopatologo. Dopo avere eseguito l’autopsia, aveva iniettato nell’aorta sei litri di una soluzione di formolo, alcol e glicerina. Ma una parte del liquido era fuoriuscita e il compagno Il’ic era ridotto male. «Il colore della pelle e delle mani tendeva al grigio scuro. Ovunque erano visibili zone di tessuto ormai necrotizzato e si poteva notare una separazione delle labbra di un millimetro». Il 5 marzo si riunì la commissione di Immortalizzazione della memoria di Lenin, che insisteva per il congelamento. Vorosilov si oppose di nuovo e propose di immergere il corpo in un liquido a base di glicerina e acetato di potassio. Il 14 marzo l’opzione congelamento venne approvata all’unanimità dal Comitato centrale del Partito. Durante il suo soggiorno a Mosca, Vorobiov visse a casa di Boris, che cercò in tutti i modi di convincerlo a farsi carico dell’imbalsamazione del leader. «La prego», si oppose lui, «si tolga questa idea dalla testa. Chi si immischia in questa faccenda morirà». Nel frattempo le condizioni del cadavere peggioravano: i padiglioni auricolari erano completamente raggrinziti e la mano sinistra aveva assunto una colorazione giallo-verde. Le prove di congelamento, poi, continuavano a non dare gli esiti sperati. Boris, inoltre, aveva speso non poco del suo prestigio di scienziato per fare pressioni affinché la soluzione Vorosilov fosse passata. E alla fine «il governo accordò il proprio assenso alla proposta di mio padre», ricorda Il’ja. «In questo caso siamo persi, sia io sia lei», commentò amaramente Vorobiov. Il 26 marzo la squadra di Vorobiov e Zbarskij s’insediò nel Mausoleo e ebbe carta bianca dalle autorità: chiusura della struttura al pubblico per quattro mesi, mezzi tecnici e scelta dei collaboratori. Bisognava subito rimediare ai danni provocati dalla prima imbalsamazione di Abrikossov. «Lenin aveva assunto un colore giallognolo», ricorda Zbarskij, «con una sfumatura livida particolarmente pronunciata intorno alle orbite, al naso, alle tempie e alle orecchie. Una zona rosso scuro di tessuti ormai necrotici era comparsa sui lobi frontali e parietali. Nella zona in cui la scatola cranica era stata aperta per estrarne il cervello, la cute era sprofondata di un centimetro». Vorobiov eliminò i punti di sutura alla testa e al centro del torace, lascito dell’autopsia. Estrasse le viscere e fece lavare la cassa toracica con potenti getti di acqua distillata. Fissò i tessuti con una soluzione di formaldeide, potente antisettico. Tamponò mani e viso con una soluzione all’1 per cento della stessa formaldeide. Fece installare nella stanza una serie di stufe, per portare la temperatura a 16 gradi. Infine, fece immergere il corpo in una vasca di caucciù (il metallo avrebbe interferito negativamente con la sua miscela) piena di formolo. Fu costretto anche a eseguire tagli sul ventre, sulle spalle, sulle cosce, sulla schiena, sui palmi delle mani e sui polpastrelli per permettere ai prodotti di penetrare meglio. La composizione finale del balsamo era costituita da 240 litri di glicerina, 110 chilogrammi di acetato di potassio, 150 litri di acqua e cloro di chinino, che fungeva da disinfettante, in una percentuale che poteva variare fra l’1 per cento e il 2 per cento. La stessa mistura viene usata oggi. E gli orifizi? Le labbra furono cucite sotto i baffi con punti di sutura e protesi sostituirono gli occhi, in modo che le orbite risultassero sempre piene. Per gli abiti, fu Nadezda Krupskaja, moglie del rivoluzionario, a rendere alle autorità la giacca di colore cachi, che aveva vestito il politico durante la malattia di Gorki.