L’Indipendente, 16/01/2005, 16 gennaio 2005
Una necessità politica. La sua sorte? Era già stata decisa alla fine di ottobre, quando Stalin impose che il ”faro della Rivoluzione d’Ottobre” non avrebbe comunque abbandonato il mondo dei vivi
Una necessità politica. La sua sorte? Era già stata decisa alla fine di ottobre, quando Stalin impose che il ”faro della Rivoluzione d’Ottobre” non avrebbe comunque abbandonato il mondo dei vivi. Per quanto tempo? «Abbastanza», avrebbe detto il dittatore, «perché la nostra coscienza possa abituarsi all’idea della sua assenza fra di noi». «Un modo per sfruttare il sentimento religioso delle masse ignoranti e per assicurare contemporaneamente la perennità al regime», commenta Zbarskij. «Stalin era convinto che Lenin avrebbe costituito un punto di aggregazione per i cittadini dell’Urss e per i seguaci del comunismo di tutto il mondo», spiega Robert Service. Un culto funzionale agli interessi del potere in cui nel ruolo di gran sacerdote c’era Stalin. Una devozione che assunse il carattere di «una necessità politica», in cui il padre della rivoluzione doveva «essere santificato come l’unico grande successore di Marx e di Engels». «Il regime sovietico», precisa Robert Service, «non solo si limitò a resuscitare Lenin dalla morte come un Lazzaro moderno, ma fece di tutto per convincere la popolazione che l’eredità comunista possedeva una vita propria e inestinguibile». A due giorni dal decesso, Feliks Dzerzinskij, capo della Gpu, la polizia politica (l’organismo che aveva sostituito nel nome ma non nei contenuti repressivi la Ceka), che ha diviso con Stalin la paternità del progetto imbalsamazione, centrava il problema: «La questione principale non è decidere se preservare per lungo tempo il corpo di Vladimir Il’ic, piuttosto sapere come ottenere questo risultato». Nel frattempo, anche il cervello del rivoluzionario fu oggetto di attenzioni. Nella Tragedia di un popolo, Orlando Figes racconta che la sua massa grigia fu subito asportata e trasferita all’Istituto del cervello, tuttora esistente a Mosca, dove «un’equipe di scienziati era incaricata di scoprire l’essenza del suo genio». Fu tagliato in 30.000 segmenti, conservati ciascuno tra due vetrini in condizioni controllate. In seguito, alla collezione si aggiunsero i cervelli di altri: Kirov, Kalinin, Gor’kij, Majakovskij, Ejzens<caron>tein e Stalin. Nel 1994 l’Istituto ha reso pubblico il referto autoptico definitivo su Volodja (diminutivo confidenziale con cui veniva chiamato Vladimir): un cervello perfettamente nella media.