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 2005  gennaio 16 Domenica calendario

Questa è la storia del cadavere di Lenin e di Vladimir Vorobiov e di Boris Il’ic Zbarskij, gli scienziati che lo hanno imbalsamato

Questa è la storia del cadavere di Lenin e di Vladimir Vorobiov e di Boris Il’ic Zbarskij, gli scienziati che lo hanno imbalsamato. Stregoni contemporanei al servizio di uno Stato ateo, questi luminari hanno concesso a Vladimir Il’ic Ul’janov, padre della rivoluzione bolscevica, l’irripetibile occasione di essere testimone di un secolo di purghe, deportazioni, guerre calde e fredde. Di essere spettatore della dissoluzione del Leviatano cui aveva dato il soffio vitale e dei traffici dei potenti mafiosi, che, nuovi ricchi nella nuova Russia, sono rimasti gli unici a finanziare la sua eternità. «Al centro di una stanza immersa nella semioscurità c’era il catafalco dello statista. Un’imponente opera di bronzo composta da una struttura di sostegno decorata con vessilli di ghisa e da un coperchio di forma conica. Al suo interno, sottili fasci di luce bianca convergevano sul viso e sulle mani del morto». Prima testimone dell’avventura del padre Boris, poi scienziato protagonista della vicenda, Il’ja Zbarskij ha incontrato così Lenin nel 1934. Erano le prime emozioni di un rapporto che 65 anni dopo avrebbe raccontato in All’ombra del Mausoleo. «Appena prendemmo posizione intorno al sarcofago i pistoni ai quattro angoli del catafalco sollevarono a poco a poco il coperchio di vetro. Alzammo il corpo tenendolo per le spalle e le gambe e lo deponemmo su un tavolo operatorio a rotelle. Portammo la salma in una stanza attigua i cui muri di piastrelle bianche erano stati prima spennellati di alcol e antisettici. Tirando i lacci fissati sul dorso del cadavere fu possibile togliere giacca e pantaloni». «Spostando le braccia, mi accorsi, al contatto con la pelle, pallida e tendente al giallo, che aveva mantenuto la morbidezza originale». Quando Il’ja lo conobbe, però, l’uomo di ”Stato e rivoluzione” se ne stava nell’atmosfera ovattata e climatizzata del Mausoleo già da dieci anni. Dalle quattro del pomeriggio del 27 gennaio 1924, sei giorni dopo la morte, quando un milione di persone seguì il suo funerale. «Sulla piazza Rossa», riporta Robert Service in Lenin. L’uomo, il leader, il mito, «la folla intonò l’Internazionale. A Mosca tutte le attività erano cessate. Risuonarono le sirene delle fabbriche. Ovunque i treni rimanevano fermi sui binari e le navi all’ancora». Il 20 gennaio 1924 lo statista sovietico riferisce ai medici di avere perso la vista. Il giorno dopo, alle 18, era in preda a convulsioni frenetiche. La respirazione era irregolare, il polso arrivò a 130 pulsazioni al minuto. Alle 18.30 le pulsazioni rallentarono. «Lo stato del paziente assomigliava a quello di un epilettico al termine di una crisi», dice Zbarskij. La temperatura corporea toccò i 42.3 gradi. Alle 18.50 la congestione cerebrale. «Il viso si imporporò. Lenin sembrò volersi sollevare un momento, poi bruscamente la respirazione cessò. La testa oscillò all’indietro e assunse un pallore mortale». I medici constateranno con l’autopsia «decesso per arresto cardio-circolatorio, dovuto ad una emorragia cerebrale su base arteriosclerotica».