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 2005  gennaio 26 Mercoledì calendario

Il carteggio D’Annunzio-Mussolini copre un lungo periodo, dal 1919 al 1938. Si tratta, almeno all’inizio, di lettere frequenti, intense e senza formalismi

Il carteggio D’Annunzio-Mussolini copre un lungo periodo, dal 1919 al 1938. Si tratta, almeno all’inizio, di lettere frequenti, intense e senza formalismi. Tra i due, il più mite è Mussolini, in posizione quasi subalterna rispetto al poeta che lo consiglia, lo rimprovera, lo minaccia, lo insulta. Col passare degli anni, il 1926 è il vero spartiacque, D’Annunzio sceglie di isolarsi nel Vittoriale e di abbandonare ogni velleità politica, vedendo gli eventi allontanarsi dalle sue aspirazioni, e il suo caro compagno Mussolini, così lo chiama nelle lettere, diventare soltanto una delle tante autorità da incontrare durante qualche cerimoniale. scotetevi, pigri Mio caro Mussolini, Mi stupisco di voi e del popolo italiano. Io ho rischiato tutto, ho dato tutto, ho avuto tutto. Sono padrone di Fiume, del territorio, d’una parte della linea d’armistizio, delle navi; e dei soldati che non vogliono obbedire se non a me. Non c’è nulla da fare contro di me. Nessuno può togliermi di qui. Ho Fiume; tengo Fiume finché vivo, inoppugnabilmente. E voi tremate di paura! Voi vi lasciate mettere sul collo il piede porcino del più abbietto truffatore che abbia mai illustrato la storia del canagliume universale (si riferisce al Primo Ministro Francesco Saverio Nitti, ndr). Qualunque altro paese - anche la Lapponia - avrebbe rovesciato quell’uomo, quegli uomini. E voi state lì a cianciare, mentre noi lottiamo d’attimo in attimo, con una energia che fa di questa impresa la più bella dopo la dipartita dei Mille. Dove sono i combattenti, gli arditi, i volontari, i futuristi? Io ho tutti soldati in uniforme, di tutte le armi. un’impresa di regolari. E non ci aiutate neppure con sottoscrizioni e collette. Dobbiamo fare tutto da noi, con la nostra povertà. Svegliatevi! E vergognatevi anche. Se almeno mezza Italia somigliasse ai Fiumani, avremmo il dominio del mondo. Ma Fiume non è se non una cima solitaria dell’eroismo, dove sarà dolce morire ricevendo un ultimo sorso della sua acqua. Non c’è proprio nulla da sperare? E le vostre promesse? Bucate almeno la pancia che vi opprime, e sgonfiatela. Altrimenti verrò io quando avrò consolidato qui il mio potere. Ma non vi guarderò in faccia. Su! Scotetevi, pigri nell’eterna siesta. Io non dormo da sei notti; e la febbre mi divora. Ma sto in piedi. E domandate come, a chi m’ha visto. Alalà. Fiume, 16 settembre 1919