L’Indipendente, 09/01/2005, 9 gennaio 2005
I divieti in oriente. Giudizi contrastanti, dunque, sull’erba che da sempre oppone e divide. Ma se il divieto odierno ci pare quasi una novità rivoluzionaria e un’ingerenza nella nostra vita privata, non dimentichiamo che sono cinquecento anni che tutti i governi del mondo tentano di osteggiare, punire e condannare gli amanti del tabacco
I divieti in oriente. Giudizi contrastanti, dunque, sull’erba che da sempre oppone e divide. Ma se il divieto odierno ci pare quasi una novità rivoluzionaria e un’ingerenza nella nostra vita privata, non dimentichiamo che sono cinquecento anni che tutti i governi del mondo tentano di osteggiare, punire e condannare gli amanti del tabacco. Invano, è evidente, se è vero che all’inizio del Settecento non c’era luogo del pianeta dove esso non si fosse diffuso. E sempre combattuti, i cari governanti, tra il bene pubblico e il dio denaro, pasciuto ben bene da tasse, balzelli e monopoli di Stato vari. Niente di nuovo sotto il sole? Può essere. La storia del tabacco è, quindi, in realtà una lunga storia di divieti. I governanti erano attanagliati in particolare dal pericolo di incendio per città costruite in legno e dai costi elevati di questo vizio. Ma nessuna legge e punizione è mai riuscita a arrestare la sua conquista del mondo. In effetti, un po’ tutti ci avevano provato. In Oriente il fumo si era diffuso nel 1580, probabilmente attraverso i veneziani. In Turchia si attuò una vera e propria campagna di persecuzione. Oltre alla diffusa paura di incendi, gli imperatori turchi sostenevano che il tabacco rendeva sterili. Il che è anche abbastanza vero, peraltro. Più probabilmente il vero intento era di impedire le riunioni sediziose con la scusa del tabacco. Il sultano faceva personalmente la ronda di notte e chiunque fosse stato sorpreso a fumare veniva immediatamente ucciso. Neanche in Russia si scherzava molto: fu promulgato un editto che proibiva a chiunque di assumere tabacco, di venderne o di acquistarne, sotto pena di frusta e, in caso di recidiva, di taglio del naso. Nel 1641 lo zar Alexander Michailovic decretò la deportazione in Siberia e nel 1655 la pena di morte per i trasgressori di queste leggi. Con Pietro il Grande, tornato dai suoi viaggi in Olanda e Inghilterra con idee moderne e soprattutto con il vizio del fumo, i fumatori riconquistarono la loro libertà. Anche in Giappone, dove i portoghesi avevano introdotto il tabacco nel 1590, a più riprese gli Shogun decretarono varie proibizioni che non furono mai rispettate. Erano state messe delle specie di taglie sulla testa di chi aveva a che fare con il tabacco: «Le proprietà del venditore o dell’acquirente saranno garantite a chi lo denuncerà. Chiunque sarà sorpreso a trasportare tabacco per strada dovrà essere immediatamente arrestato e le autorità dovranno essere avvisate. Dopo di che il cavallo e gli altri beni del colpevole saranno consegnati a chi lo avrà denunciato». Ma più aumentavano i divieti più aumentava la voglia di fumare. In India dopo il 1850 veniva giudicato disdicevole che i giovani passeggiassero la sera con il sigaro in bocca. Nel 1859 un albergo gestito da inglesi annunciava ai propri clienti che «uno speciale padiglione con biliardo è riservato ai fumatori, che non sono ammessi all’interno dei saloni».