Varie, 23 gennaio 2005
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Vettriano Jack
• St. Andrews (Gran Bretagna) 17 novembre 1951. Pittore • «Scozzese di St.Andrews, ma con un nonno italiano venuto da Cassino. Dipinge scene iperrealiste che fermano il tempo agli anni Trenta, alle atmosfere alla Grande Gatsby. I critici lo hanno spesso definito ”un imbrattatore” ma fra manifesti, copertine di libri e dischi lui ormai ha un posto d’onore in moltissime case. Ed è scandalosamente ricco. Ma chi è questo Vettriano? ”Sono un pittore-single che nasce inferocito con i sentimenti e li dipinge perché non li ha mai trovati dentro di sé. O almeno mai abbastanza”. [...] i capelli lunghi, l’aria di chi si è svegliato sempre da poco, Jack Vettriano dipinge fumando: ”Mi ci vogliono cento sigarette a quadro”. I suoi quadri si possono trovare alla Portland Gallery di Londra e, sotto forma di poster, anche in un milione di case sparse per il mondo. Forse un record. Ed è solo l’inizio. Nemmeno Magritte, Botero, Hopper, Folon. ”Ma lasci stare, quelli sono altri calibri”. [...] Qualcuno ha detto che i quadri di Vettriano, il venditore di poster più invidiato del momento, sono ”portatori sani di instabilità”. Effettivamente sembrano tutti personaggi un po’ stanchi di vivere la loro vita glamour: però continuano a viverla, così, svogliatamente. Gente altolocata, ricchi d’annata immortalati in momenti di intimità fuggevole, amori di una sera, passioni e nudità, luci soffuse, attività insolite, locali semideserti e male in arnese, pionieri del cinema, della fotografia con look dannunziani. Vettriano è d’accordo sulla questione dell’instabilità, anche perché non ha mai cercato di dipingere altro: ”Non so altro della vita. I personaggi dei miei quadri hanno tutti qualcosa di me. Il peggio forse. Sono tutte persone tristi dentro che fingono fuori. Gente che sente molto il bruciore eccitante di una giornata sì, ma non sa fare un progetto che sia uno, non conosce né amori duraturi né un’accettabile grado di felicità. Immagini persone a una festa stile Grande Gatsby che accettano volentieri l’invito ma poi scappano per po’ di sesso clandestino con la prima o il primo che capita, baci rubati e altre storie che non finiscono per il semplice motivo che non sono mai iniziate». Insomma, tutti single come lui, che a trent’anni si è sposato ed è durata talmente poco che adesso ”sembra quasi che sto parlando del matrimonio di qualcun altro”. Per spiegare la travolgente popolarità dei suoi quadri, per trovare un senso al fatto che sia stato così facile trasformarli in milioni di poster, Vettriano dice: ”Li ho sempre considerati una via di mezzo fra i poster ferroviari dei primi del Novecento e l’ideale copertina di un romanzo noir”. Poi si schermisce: ”Merce che può attecchire facilmente ovunque”. Lo stile è quello di un realismo fotografico che ferma il tempo agli anni Trenta, disconoscendo il progresso. Alla Edward Hopper. ”Ma a me Hopper non è mai piaciuto e trovo sorprendente che qualcuno mi accosti a lui. Mai usati quei colori, per esempio. Lui marroni, verdi. Io azzurri, rossi”. Però l’aria da età del jazz, quel senso di decadenza imminente, quel gusto nel raccontare il tempo vuoto, sembrerebbe lo stesso. ”Ma i miei riferimenti sono Dalì, Degas, Gauguin. Metta in uno shaker questi signori, aggiunga Van Gogh, Caravaggio e otterrà Vettriano. E poi Hopper descriveva la solitudine degli ambienti, io quella dell’anima”. Entrambi comunque hanno virato verso la riproducibilità dell’arte e la vendita al dettaglio, diventando protagonisti sulle pareti dei muri di casa, sulle copertine dei libri e persino dei dischi. Entrambi verrebbe da apprezzarli meglio con del jazz in sottofondo, chi dice Nat King Cole, chi Gershwin, chi va più indietro e s’immagina il dixie. Oppure si finisce per pensare a Chandler, Faulkner, Fitzgerald, ai mondi più sospesi della letteratura americana. ”Ma io direi più Joni Mitchell quando cantava il jazz. Il noir di cui parlavo prima, quella sensazione di romanzo che può venir fuori dai miei quadri, è una dimensione più psichica che reale, tipica di chi come me avrebbe forse voluto vivere in un’altra epoca, facendo altre cose per sbarcare il lunario”. Sigarette e Joni Mitchell sono le droghe di Vettriano: ”Fumo e penso ai titoli di certe canzoni della Mitchell o di Leonard Cohen: solo così parte l’idea giusta. Ci sono titoli che mi ronzano continuamente in testa perché non sono dei veri e propri titoli, bensì versi, lunghi, morbidi. Gliene dico due per tutti: In France They Kiss On Main Street e Shades Of Scarlet Conquering. E pensare che i dipinti della Mitchell (che è anche una stimata pittrice, ndr) non mi dicono nulla”. E precisa: ”Alcuni dei miei quadri nascono quasi come simulazione dei testi di certe canzoni, ovviamente dolorose, tipo le antiche ”torch songs’. Però quando ho cominciato a dipingere, a diciotto anni, ascoltavo Dylan e non capivo quello che diceva”. Hopper continua a mietere copertine, ma Vettriano comincia a stargli dietro e in qualche caso lo rimpiazza. La copertina del primo romanzo di Gianrico Carofiglio per la Sellerio, Testimone inconsapevole, era di Hopper, quella del secondo (Ad occhi chiusi) è di Vettriano. Solo un caso? Sempre di Vettriano il quadro che illustra Le confessione di Max Tivoli dell’americano Andrew Sean Greer (Adelphi), e suo anche quello che fa da copertina a Ship Of Dreams di David Knopfler, fratello del più celebre Mark, ex leader dei Dire Straits. Il mercato avanza. I critici d’arte non sono mai stati teneri con Vettriano. Gli hanno dato spesso dell’imbrattatore, del retorico, hanno detto che è stato furbo e fortunato. ”Non li amo molto, specie quelli inglesi. Per loro il mercato nuovo, quello dei poster, trasforma i pittori in illustratori da supermercato”. Dicevano: stracci di ricchezza colorati alla buona. Lui però con gli stracci di ricchezza colorati alla buona è diventato un culto raffinato. ”Quando concessi l’autorizzazione alla riproduzione dei quadri pensavo di farci al massimo un migliaio di sterline. E invece è stato un botto”. Ora ha una casa principesca sopra la colline di Nizza e non dimentica di avere sangue italiano. ”Mio nonno ha lasciato l´Italia nel 1904 con i suoi genitori. Aveva quattro anni. Erano di un paese vicino Cassino. Un giorno voglio proprio vederlo, questo Belmonte Castello”. Anche un single può aver voglia di casa» (Enrico Sisto, ”la Repubblica” 23/1/2005).