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 2005  gennaio 21 Venerdì calendario

Sarfatti Riccardo

• Milano 3 aprile 1940, Tremezzo (Como) 10 settembre 2010. Architetto. Politico. Fu il candidato del centrosinistra (contro Formigoni) alle regionali 2005 per la presidenza della Lombardia • «[...] È un bel signore dallo sguardo chiaro, dall’eleganza semplice, un po’ dispersivo nel parlare. Liceo Manzoni, sciatore, tennista, e interista. Abita in una casa piena di belle lampade con vista sulla Villa Reale di Leopoldo Pollack (la Milano austriaca), l’ufficio è in un lembo verde tra Bovisa e Affori (la Milano operaia). [...] è un prodotto di quella borghesia intellettuale milanese sempre data per morta da chi la conosce poco. Il padre, Gino Sarfatti, ingegnere aeronautico mancato, aveva fondato nel 1939 un’officina per produrre lampade che nel dopoguerra sviluppò in Arteluce, marchio pionieristico del design. Riccardo è figlio d’arte: architetto, ha prima lavorato col padre, insegnato all’università a Venezia, poi, dopo la vendita di Arteluce alla Flos, altro marchio nobile, creò il proprio studio di progettazione, sviluppato nel 1978 in Luceplan, un’azienda di illuminotecnica di calibro europeo, una vera azienda-manifesto del made in Italy. Esporta il 75 per cento del fatturato, dà lavoro a cento persone (“Mai un licenziamento”) e ha resistito a molte offerte d’acquisto. Il figlio Alessandro, di ritorno dagli Usa, ne ha assunto la guida. I Sarfatti erano ebrei veneziani. Margherita Sarfatti, la giornalista sponsor del Mussolini “milanese”, era zia di Gino, il quale, dopo la Liberazione, si accostò al cristianesimo. Riccardo cresce cattolico, matura un razionalismo laico ma nutre un vivo interesse per le religioni. Come scoprì la politica? “Da anticipatore, nel febbraio 1963, nascita del centro-sinistra, con la prima occupazione in assoluto di un’università italiana, al Politecnico”. Sarfatti fu, con Cesare Stevan, Antonio Monestiroli e il suo futuro socio Paolo Rizzato l’animatore di un mese di lotta in cui i giovani paladini del movimento moderno, nemici dell’accademismo, esautorarono il preside Cassi Ramelli e imposero la nuova leva di docenti, la linea De Carlo-Albini-Gregotti-Portoghesi. “Poco dopo gli studenti presero ad agitarsi a Roma, Pisa, Venezia: nel ’64 conobbi un ragazzo veneziano, Massimo Cacciari. Siamo amici da allora”. Negli anni Settanta insegnavano entrambi a Venezia, Cacciari a Ca’ Foscari, lui allo Iuav [...] Cacciari è il suo kingmaker, dopo il lungo lavoro sulla riforma della politica e la questione settentrionale svolto nelle riunioni del martedì nella sede del giornale “Europa” e dell’associazione Politeia, insieme a Michele Salvati, Aldo Bonomi, Salvatore Bragantini, Alberto Martinelli, Gad Lerner, Luca Beltrami, Bruno Manghi. Nel suo percorso intellettuale Sarfatti si è nutrito di tante cose: “Dai ‘Quaderni Rossi’ alla Scuola di Francoforte, dal rapporto tra intellettuali e società a quello tra imprese e globalizzazione”, riassume. Nel suo percorso politico a fine anni Novanta è stato presidente dell’Assoluce e vicepresidente di Confindustria, uno dei pochissimi a contestare la linea filogovernativa di Antonio D’Amato, compreso l’articolo 18. Il coraggio politico? Sarfatti risponde: “Il maggior coraggio lo ho avuto all’assemblea generale di Confindustria nel 2002, quando, non invitato, ho chiesto la parola e proposto come cosa più urgente di cambiare il simbolo, un’aquila imperiale fascista con le unghie dentro l’ingranaggio a bloccare un’industria fordista che non esiste più. Applausi da tutti, Romiti incluso. D’Amato fece tagliare le unghie all’aquila, ammorbidire le linee. Io resto dell’idea che la Confindustria rappresenti poco e male la struttura produttiva del paese”. [...]» (Enrico Arosio, “L’Espresso” 27/1/2005).