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 2005  gennaio 20 Giovedì calendario

Laver Rod

• Rockhampton (Australia) 9 agosto 1938. Ex tennista. Vinse 11 titoli dello Slam: 1960 Australian Open, 1961 Wimbledon, 1962 tutti e quattro (Grande Slam), 1968 Wimbledon, 1969 tutti e quattro (secondo Grande Slam). Ha scritto Gianni Clerici: «Era una sorta di piccolo cowboy, ma non veniva dal Texas. Il suo paese era più lontano, più duro e più brullo del Texas: bambino, andava ad appostare i canguri, con gli amici. I Laver erano originari di un posto chiamato Gipsland, nel Victoria. La nonna Alice , nel 1967, aveva novant’anni, e pochi giorni prima di andarsene montava a cavallo. Papà Roy crebbe da vaquero, sposò una ragazza chiamata Melba, come l’unica australiana famosa nel primo quarto di secolo: la cantante Nellie Melba. Con undici tra fratelli e cugini Roy giocava a cricket, in una squadra imbattibile nella zona. Zio Frank divenne capitano della Naizonale. La proprietà di Roy Laver si chiamava Langdale, un pezzo di terra di 23 acri, sopra Brisbane, e di lì la famiglia si spostò a Marlborough, una piccola città non lontana dal tropico del Capricorno: il cibo non mancava, papà si era mutato in macellaio. Quando Rod ebbe undici anni, i Laver approdarono a Rockhampton, trentamila abitanti. Da quelle parti nei giorni di Natale è facile svenire per il caldo. I tre fratelli Laver e la sorellina si misero subito a costruire un campo in terra, simile a quello che avevano nel ranch. Papà e mamma giocavano volentieri in misto, i piccoli erano fanatici. Decisero, anche, di illuminare quel rettangolo, e ci misero cinque lampade da 1500 watts, un lusso. A Rockhampton c’erano proprio tutti i comodi e i vantaggi della civiltà. C’era anche un maestro di tennis, Charles Hollis, e a giudicare dalla riuscita del suo allievo, e, da quello che Rod ne dice, doveva essere il più bravo maestro del mondo. [...] La prima cosa che Hollis insegnò a quel bambino dai capelli rossi, dal viso di triste Pierrot sommerso di efelidi, dalle gambe arcuate e dalle braccia lunghissime, fu che doveva sempre vincere 6/0, 6/0, e non mollare mai la palla, nemmeno se rimbalzava su un albero. Rod promise di essere obbediente, e Hollis si dedicò allora ai suoi colpi, soprattutto al rovescio. Il Chirone del Queensland sapeva benissimo che i mancini, per una curiosa consuetudine che nessun anatomista aveva mai approfondita, erano inclini a tagliare il rovescio [...] Rod, si vedeva, sarebbe rimasto piccolo, e Hollis non poteva permettersi di munirlo di un servizio innaturale [...] Decise di dargli, insieme allo slice, un rovescio colpito da sotto e spesso liftato. Decise di costruirgli il polso, e lo obbligò a vivere con una vecchia palla da tennis, da schiacciare come un’arancia. Anni dopo, venne in mente a qualcune di misurare l’avambraccio di quell’omino di sessantotto chili, e si scoprì che era 12 pollici, esattamente come quello di Rocky Marciano. Il polso, poi, era 7 pollici, uno di più di Floyd Patterson. Capimmo, allora, perché Rod poteva permettersi di giocare tutti quei suoi lift straordinari, anche quando i rimbalzi rapidi non gli davano tempo per il back-swing. C’era un lavoro addirittura geniale, alla base di quel tennis nuovo, che avrebbe preceduto di dieci anni il jet-tennis, il tennis ping-pong con una sola presa di racchetta, e con un crescente intervento del polso. [...] vinse il primo Grande Slam nel 1962, mentre compiva 24 anni. Era arrivato alla finale di Wimbledon a vent’anni, battuto da Olmedo, nel 1959, aveva perduto da Fraser nel 1960 e annichilito McKinley nel 1961 [...] Nella sua prima, grande impresa, Rod fu anche facilitato dall’assenza di Hoad, Rosewall, Gonzalez, che gli erano, in quel momento, superiori, come egli stesso ammise non appena passò tra i professionisti, e venne battuto. Queste considerazioni vanno fatte per onestà critica, ma tolgono pochissimo alla grande impresa di Laver. [...]» (Gianni Clerici, 500 anni di Tennis, Mondadori 2004).