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 2004  settembre 12 Domenica calendario

Promesse mancate. Una delle idee guida della politica coloniale italiana in Libia riguardava le risorse agrarie, di cui era stata decantata la ricchezza

Promesse mancate. Una delle idee guida della politica coloniale italiana in Libia riguardava le risorse agrarie, di cui era stata decantata la ricchezza. Si vorrebbero stimolare forti correnti migratorie dall’Italia. Con questi obiettivi si costituisce un demanio, molto importante per fare della Libia una terra promessa. Solo liberi pensatori come Gaetano Salvemini ammoniscono che il diffuso ottimismo iniziale avrebbe deluso le generazioni future. Ben presto, infatti, si scopre che nella zona stepposa l’agricoltura irrigua è impossibile e che in quella dei giardini gli indigeni sono già riusciti a ottenere il massimo. Coltivare il grano in quel clima risulta essere una follia e l’unica forma di agricoltura possibile si rivela quella ”da oasi”. Ma il problema più spinoso è quello delle terre da assegnare ai coloni: la maggior parte di queste già appartiene agli indigeni. Ci si trova così di fronte alla sgradevole sorpresa per cui le paventate terre di nessuno non esistono, quindi l’arrivo degli italiani significa per i libici una forte pressione demografica sulle risorse scarse della loro economia di sussistenza. Dopo vari studi su come affrontare la questione, si decide alla fine di introdurre il criterio dell’espropriazione ”per pubblica utilità” dietro corresponsione di indennizzo, fatta eccezione però per le terre tolte ai ”ribelli”, espropriate senza alcun compenso. Ma non è sufficiente, quindi nel 1921 il sistema per l’accertamento della proprietà privata viene stravolto: si decide di partire dal presupposto che tutte le terre siano demaniali, salvo diversa dimostrazione dietro esibizione di adeguati titoli di diritto, titoli che raramente i libici sono in grado di opporre, dato che nella maggior parte dei casi possiedono le terre per consuetudine. Con questo espediente il governo italiano riesce a lottizzare e distribuire migliaia di ettari. A partire dal 1923 si passa direttamente a confiscare le terre non solo ai ribelli, ma anche a chi abbia fatto causa comune con loro, così che molti terreni con titoli più che validi vengono tolti ai nativi e distribuiti tra i coloni. Comunque la colonia viene utilizzata molto più come sbocco per i prodotti italiani che come fonte per l’approvvigionamento delle risorse, tanto che nel 1931 si contano solo 429 coloni agricoltori. Con il programma di colonizzazione demografica di Mussolini tra il 1935 e il 1939 gli italiani emigrati in Libia arrivano a 110 mila. Naturalmente lo sviluppo economico promosso e le opere pubbliche realizzate erano destinate a rendere vantaggiose le condizioni di vita dei coloni, che ne beneficiano fino allo scoppio della seconda guerra mondiale, con la quale tutte le infrastrutture create e i progressi raggiunti vengono annullati. Durante il conflitto inoltre si distingue e raccoglie consensi e prestigio la figura del nuovo Capo senusso Mohammed Idris, che con l’appoggio della Gran Bretagna realizza un proprio corpo armato che mette al servizio della potenza inglese in cambio della promessa dell’autonomia dagli italiani. A guerra conclusa la Libia viene divisa in due: Tripolitania e Cirenaica sotto controllo inglese, e Fezzan sotto i francesi. Il Regno indipendente di Libia viene proclamato solo nel 1949 dall’Onu, contraria al protrarsi dei domini imperiali. Idris, eletto monarca, abolisce i partiti politici e inaugura una linea di governo autoritaria. Per i coloni è il tramonto di una giornata mai stata luminosa. Tornano in Italia poco alla volta, senza nulla. Gli ultimi 5000 nel 1972, espulsi da Gheddafi, che confisca pure tutti i loro beni e che ancora ci chiede i danni di guerra.