varie, 19 gennaio 2005
RIZZOLI
RIZZOLI Angelo Como 12 novembre 1943. Imprenditore • «Era l’erede di una delle famiglie più in vista della borghesia milanese, i Rizzoli. Figlio di Andrea, nipote di Angelo, lo chiamavano Angelone per via della stazza piuttosto notevole. A 30 anni era uno degli editori più importanti d’Europa. A 40, travolto dallo scandalo P2, dalle difficoltà dell’azienda e dalle vicende del banco Ambrosiano, finì in galera per 13 lunghi mesi. Ne uscì prosciolto prima ancora del processo. Ma la sua famiglia era ormai distrutta, la moglie Eleonora Giorgi l’aveva lasciato, la casa editrice era persa. Con una violenza inaudita la tragedia si era abbattuta su di lui già minato da una malattia terribile, la sclerosi multipla, che minacciava di portarlo velocemente, nel migliore dei casi, su una sedia a rotelle [...] ”Uscito dalla galera [...] mi sono trovato in una città nemica. Ero stato punito al di là di ogni mio possibile errore. Mio padre morto. Mia sorella suicida. In me insopportabili sensi di colpa. La città dove la famiglia Rizzoli per tre quarti di secolo era stata una delle più importanti e stimate mi apparve ostile. Nessuno mi voleva più ricevere [...] Ero finito in galera. Che fossi innocente, che fossi stato prosciolto, era un dettaglio. [...] Fino al giorno prima del mio arresto c’era la coda di gente che voleva farsi ricevere. Dal giorno dopo, nessuno si era più fatto vivo [...] Chi mi conosceva da bambino mi fece sapere che sarebbe stato imbarazzante farsi vedere con me [...] Sivlio Berlusconi [...] Mi ha detto: ”Smettila di affliggerti e di disperarti. Cerca di cancellare il passato con cose nuove [...] ”Tu fai i film e io te li compro’, mi disse. E così è stato [...] Berlusconi non è un pescecane come la maggioranza degli imprenditori italiani. Non ha il loro cinismo. generoso. Ha aiutato una persona finita, un ”dead man walking’, unicamente per simpatia umana ”Attento’, gli dicevo. ”Come hanno fatto fuori me possono fare fuori te’ [...] Diceva: ”Tu eri un ragazzino, io sono più strutturato’ [...] ha avuto l’idea brillantissima di salvarsi con la politica. Io non ci ho pensato [...] Io sono stato viziato da ragazzo: appartenevo a una delle famiglie più ricche di Milano. Però l’aereo era di mio padre. Io l’ho soltanto usato. Lo yacht era di mio nonno. Io avevo una piccola barca a vela [...] Tutto è cominciato con la nomina di Alberto Cavallari a direttore del ”Corriere della Sera’. Io non lo volevo. Volevo Ronchey [...] Me lo chiese il presidente Pertini. [...] Ero in una situazione di grande difficoltà per lo scandalo P2 [...] La nomina di Cavallari non piacque ad alcuni. Due mesi dopo mi chiesero di allontanarlo e di liquidare Tassan Din. Tassan Din non ce l’avevo messo io. Rappresentava il garante dei crediti bancari ed era imposto da Roberto Calvi, il nostro maggior creditore, il vero padrone della Rizzoli [...] Quando dovetti ammettere che non potevo mandar via Tassan Din e Cavallari, il mondo politico iniziò una serie di azioni ostili. Le banche ritirarono i fidi, il prezzo dei quotidiaini rimase bloccato mentre quello della carta continuava a salire [...] Ero completamente digiuno di contatti politici. La massoneria - mi dissero - mi avrebbe facilitato. Era descritta come una specie di circolo elitario. Tutti, segretari di partito, ministri, tutti mi dissero: Gelli è una persona straordinaria, è bravissimo, se ne fidi [...] Noi avevamo difficoltà con le banche alle quali era stato suggerito di non finanziarci più. Nei giorni precedenti al Natale ”75 incontrai Gelli nello studio dell’avvocato Ortolani. C’era ad aspettarlo il direttore della Banca Nazionale del Lavoro, il presidente della Banca Commerciale, il direttore del Monte dei Paschi, il presidente del Banco Ambrosiano. Tutti col regalino di Natale [...] Ebbi la sensazione di trovarmi davanti a un potere reale. Questo mi convinse [...] In occasione dell’aumento del prezzo del quotidiano ci furono chiesti 500 milioni dall’allora ministro dell’Industria. Io mi rivolsi al presidente della Federazione degli editori per chiedere come avremmo potuto quotarci. Si decise che noi avremmo pagato 400 milioni. E un altro gruppo avrebbe pagato 100 milioni. Una persona venne a casa mia a ritirare i soldi. Io misi i 500 milioni in una valigetta Gucci [...] Lui arrivò con una busta di plastica del supermarket” [...]» ( Claudio Sabelli Fioretti, ”Sette” n. 47/1999).