Varie, 19 gennaio 2005
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ULEMEK Milorad Lukovic Belgrado (Serbia) 15 marzo 1968. Killer • «Il suo Mito equivoco se l’è costruito maneggiando il kalashnikov, non certo una penna
ULEMEK Milorad Lukovic Belgrado (Serbia) 15 marzo 1968. Killer • «Il suo Mito equivoco se l’è costruito maneggiando il kalashnikov, non certo una penna. Anzi, a sentire gli scettici, l’ultima volta che ha usato una biro sarà stato, ”forse, per scrivere i compiti a casa”. Eppure Milorad Lukovic Ulemek, in arte ”Legija”, ha venduto in due settimane 70mila copie. Trincea di ferro (M Buks, Belgrado, 2005) è diventato un best-seller, a tempo di record, come in Serbia non s’era mai visto. E passi pure, come ammette l’editore Mihailo Vojinovic, che il successo ha più a che fare con la notorietà (usurpata alla guerra) dell’autore che con i contenuti, ma c’è chi tra i recensori l’ha paragonato a Ezra Pound o a Camus. Legija, ”legionario”. Dopo ”Arkan”, il paramilitare più famoso della Serbia, un nome associato alle peggiori atrocità commesse nei Balcani. E al grande trauma della Belgrado post- Milosevic: l’assassino di Zoran Djindjic. lui – sarebbe lui, fintanto che il tribunale non si pronuncia – il cecchino che ha sparato al primo premier democratico della Serbia.
Musicista, soldato, poliziotto, criminale. Eppure, il libro, tolto lo sprezzo per i musulmani, è perfino malinconico. Racconta l’agonia di un soldato colpito in trincea, che si chiede a cos’è valsa la campagna di Bosnia. Inizia così: ”Ho cercato di aprire gli occhi: nessuna sensazione del mio corpo. Solo buio e silenzio. La mia bocca, il mio naso e le orecchie erano piene di terra [...]. ”Sono vivo, davvero?’. La morte non ha quest’aspetto, mi ripetevo. A meno che non mi abbiano sepolto vivo. Però, allora, se fossi in una cassa da morto, almeno sentirei il profumo dei fiori ”. Dedica singolare. ”Ai miei compatrioti, quelli che se ne sono andati e a quelli che vivono chiedendosi qual era il significato del loro sacrificio”. Potrebbe averla scritta il capitano Jovan Divjak, l’eroico difensore serbo dell’assediata Sarajevo musulmana, o qualcuno di quella fantastica generazioni di talenti (dal regista Boris Tanovic, al musicista Bregovic, allo scrittore Miljenko Jergovic), spazzati da Sarajevo da gente come Legija. Scrittore in carcere, in attesa di verdetto. Sarà tutto suo? ”L’unica cosa che è in grado di scrivere è la firma sotto un documento falso”, cassano i critici di Vreme . La sua carriera è la storia recente della Serbia, a parte quel soprannome guadagnato combattendo da mercenario (Ciad, Beirut, Libia, l’Iraq nel ”91). Poi sono venute la Croazia, la Bosnia, il Kosovo, le Tigri di Arkan e il comando dei Beretti Rossi, la feroce guardia pretoriana di Slobo, che ha ”ripulito” i villaggi albanesi. Però alla fine, Legija ha un ruolo chiave nel far cadere Milosevic. lui che promette a Djindjic, in quel concitato ottobre 2000, ”i miei uomini non fermeranno l’insurrezione della piazza contro Slobo, se in cambio ci condonate il passato”. Djindjic promise, poi si mise a estradare criminali all’Aja, ed è per quel patto tradito – hanno ricostruito i giudici a Belgrado – che pagò con la morte. [...]» (Mara Gergolet, ”Corriere della Sera” 18/1/2005).