Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2004  settembre 19 Domenica calendario

Una società matriarcale. Il fatto è che per i giapponesi vedere una donna sul trono non sarebbe affatto una novità

Una società matriarcale. Il fatto è che per i giapponesi vedere una donna sul trono non sarebbe affatto una novità. Anche se gli storici generalmente tendono a trascurare l’origine matriarcale della società, per via di una documentazione incerta, basata soprattutto sulle rare testimonianze degli annali cinesi (la scrittura fu introdotta in Giappone solo nel sesto secolo) e un’abbondanza di racconti leggendari e mitologici, le donne al potere sono una presenza costante. A cominciare dai primi secoli dopo Cristo quando i gruppi familiari organizzati in clan veneravano la figura di qualche antenato o antenata e diverse manifestazioni della natura, prima fra tutte la fertilità. La capacità di procreare dava alla donna grande autorità: era l’uomo a entrare nella famiglia della moglie e intorno alla figura materna era organizzata la vita del gruppo con grande libertà e naturalezza di abitudini sessuali. Simbolici fallici e immagini della dea madre, seni abbondanti e gambe divaricate, apparivano ovunque in Giappone prima delle purghe d’epoca Meiji (nel 1872 il governo impose un puritanesimo di stampo vittoriano e soppresse tutti i primitivismi per non urtare i pregiudizi degli stranieri e dare agli occidentali un’immagine moderna del Paese). Secondo la mitologia, il primo imperatore fu Jinmu, diretto discendente della dea del sole Amaterasu (una delle divinità fondatrice dell’Arcipelago), proclamato ”re del cielo” (Tennô) l’11 febbraio del 660 a.C. (anno di fondazione dell’impero che ancora oggi si festeggia come il Natale di Roma). I giapponesi continuano a contare i loro sovrani partendo da Jinmu: quello attuale Akihito, salito al trono nel 1989, è il 125esimo. Testimonianze del terzo secolo d.C. parlano di una regina di nome Himiko, una vergine sacerdotessa che teneva unito il popolo esercitando l’arte magica. Secondo gli storici potrebbe essere Jingô, vedova dell’imperatore Chûai e reggente intorno al 200 d. C. Si racconta che conquistò eroicamente la Corea, impedendo al figlio che portava in grembo di nascere con un sasso sotto il ventre, aiutata miracolosamente dai pesci che mantennero a galla le navi durante una tempesta. Sarebbe stato proprio questo figlio a suggerirle la strategia da adottare in guerra e, per farlo nascere in Giappone, la madre lo avrebbe partorito al quattordicesimo mese di gravidanza. Il bambino, futuro imperatore jin, venne poi venerato come Hachiman, il dio della guerra. Sotto il regno di Suiko, la prima di otto donne che occuparono il trono tra il 592 e il 770 dopo Cristo, nasce la storiografia e viene compilato il primo codice di leggi. E la storia riporta molti esempi di figli che presero il cognome della madre. Poi, il piccolo scandalo dell’imperatrice Shôtoku (764 -770) e del suo consigliere Dôkyô, un monaco molto ambizioso, bello e di talento, che finì per ottenere su di lei un ascendente simile a quello che, undici secoli dopo, Rasputin avrebbe vantato sull’imperatrice di Russia. Lei ne divenne l’amante e lo portò a corte prima come ministro poi come Hôô, titolo riservato ai sovrani che avevano abdicato per prendere i voti buddhisti. Quando Dôkyô pretese di essere nominato imperatore, nonostante la sua infatuazione Shôtoku sapeva che mai un suddito avrebbe potuto accedere al trono (la dinastia era ereditaria da quattordici secoli e questa continuità ne legittimava il carattere divino), quindi chiese conferma agli oracoli e si rifiutò di abdicare in suo favore. Alla sua morte (770) il monaco fu esiliato dalla capitale e trascorse il resto della vita in un’abbazia di provincia. Ma da allora in poi la corte ritenne più saggio evitare di dare tanto potere alle donne. Le ultime due imperatrici furono elette nel diciassettesimo (Meishô) e nel diciottesimo secolo (Go Sakuramachi), e la successione fu ufficialmente limitata ai maschi solo con la Costituzione Meiji (entrata in vigore nel 1890).