L’Indipendente, 26/09/2004, 26 settembre 2004
Giannetto, giannettino e pinocchio. Anche per sopperire a questa quasi generalizzata ignoranza i maestri si affidavano ai libri di lettura, che erano letti in classe, oppure usati per i dettati
Giannetto, giannettino e pinocchio. Anche per sopperire a questa quasi generalizzata ignoranza i maestri si affidavano ai libri di lettura, che erano letti in classe, oppure usati per i dettati. Questi testi tra l’altro erano importanti anche per instillare quell’educazione di cui si diceva, perfettamente in linea con l’ideologia del tempo. Uno dei più usati e famosi fu Giannetto di Luigi Alessandro Parravicini, sessanta edizioni tra il 1837 e il 1880 quando morì l’autore, altre ventiquattro postume. Lo scopo è nella premessa dell’edizione del 1874: «Aiutare il maestro, le maestre, le madri di famiglia nella santa impresa di istruire i figlioli e di scolpire in essi i doveri verso Dio, sé medesimo, i congiunti e la Patria». Si racconta di un bambino, Giannetto, e delle sue esperienze da cui prendono l’avvio lezioni varie (un amico di Giannetto si rompe la testa cadendo dalle scale e parte una digressione sull’anatomia umana). C’era anche più di una nozione a carattere morale. Sul finire del secolo, Giannetto non riuscì a reggere la concorrenza di un altro testo simile: il Giannettino scritto nel 1876 niente meno che da Carlo Lorenzini, anche detto Collodi. Il quale a dire il vero, dovette soffrire un po’ per svolgere il compito. Tutto iniziò quando l’editore Felice Paggi ebbe l’idea di affidare a un brillante giornalista e traduttore delle fiabe di Perrault, il Lorenzini appunto, la redazione di un nuovo libro per le scuole e cominciò a insistere per convincerlo. Lasciamo parlare il fratello dello scrittore, Ippolito: «Carlo faceva il sordo! Finalmente messo, come suol dirsi, fra l’uscio e il muro, batti oggi, batti domani finì col dirgli: ”Quando sarà il momento lo faremo, ora non posso, non mi seccare, sono troppo martoriato di nervi”». Il momento venne quando il nostro un giorno s’accorse di non avere di che campare. La prima stesura fu per l’editore una delusione: Giannettino è un discolo troppo simpatico e nel libro manca la parte didascalica. Controvoglia Collodi si rimise al lavoro, limando e cancellando, per aggiungere quello che gli si chiedeva. Il libro ebbe successo, così l’autore fu costretto a scrivere altri testi didattici. Certo, noi lo ricordiamo soprattutto per Pinocchio, che fu pubblicato a puntate sul Giornale dei bambini prima che Collodi lo raccogliesse in un volume (1883). Riesce difficile non pensare che con le avventure del burattino, Collodi volesse compensare tutte le frustrazioni accumulate nella stesura del Giannettino. Un altro best seller del tempo fu l’edificante Cuore (1886) di Edmondo De Amicis. Questi, nato e cresciuto nel regno dei Savoia, era un tipico elemento della borghesia del tempo e scrisse il suo successo con chiari intenti pedagogici. Nel libro, che oggi è facile criticare per i suoi aspetti naif e per l’eccessivo sentimentalismo, c’era tutto il sogno della neonata Italia, una Nazione che si sarebbe dovuta formare anche grazie alla scuola. Come De Amicis ci insegna, il Paese era un insieme di tante realtà diverse, che però avevano il dovere di convergere verso un’unica direzione. Se ciò fosse a quel tempo riuscito non siamo sicuri, visto che a quasi trent’anni dall’unificazione lo storico Pasquale Villari osservò amaramente come la scuola elementare italiana era stata «imposta, anziché nata, e imposta dalla rivoluzione in nome di bisogni civili che non tutti riconoscono, né tutti sentono, porta i segni di una specie di costringimento con cui venne al mondo». In quello stesso periodo a Roma si laureava in medicina una sconosciuta Maria Montessori che avrebbe fatto dell’educazione una scienza.