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 2004  settembre 26 Domenica calendario

Le scuole nell’Italia di un tempo

I ricatti ai maestri. Questi dati furono raccolti dagli ispettori, funzionari che giravano fra mille difficoltà in tutta Italia controllando le condizioni dell’insegnamento, persuadendo le amministrazioni locali della necessità di costruire nuove scuole, discutendo i metodi con i maestri e difendendo quest’ultimi dai soprusi. Già, perché forse non c’era nessuno di più ricattabile di un maestro. Per insegnare si frequentavano scuole che duravano due o tre anni, cui si poteva accedere purché si disponesse di un’istruzione equivalente alla quarta elementare, o alla terza per le femmine. Occorreva poi avere un attestato di moralità rilasciato dal sindaco, che era anche colui che stipendiava l’insegnante. La legge fissava degli stipendi minimi per impedire ai Comuni di offrire retribuzioni troppo misere, che avrebbero allontanato i maestri dalla professione. I compensi, che erano inferiori a quelli riservati ai bidelli, andavano da un massimo di 1200 lire per i maestri delle scuole urbane fino a 500 lire per quelli delle scuole rurali, e per le donne dovevano essere ridotti di un terzo. Era poco, ma fu di nuovo un’inchiesta a svelare che c’era chi prendeva pure di meno. Molti comuni infatti scendevano sotto il minimo con la minaccia di licenziamento per quelli che avrebbero fatto difficoltà a accettare. Invalse poi l’uso di pagare con tale ritardo che i maestri erano costretti a vivere una vita non solo di stenti, ma anche di debiti. Così si scoprì che molti di loro associavano all’insegnamento altri lavori (riciclandosi come organisti, segretari, sagrestani, sarti, fattori, bottegai, contadini). Le troppe difficoltà paragonate agli scarsi guadagni convincevano gli uomini, su cui spesso gravava una famiglia, a non intraprendere la carriera che, accessibile anche alle donne diventò sempre di più appannaggio di queste ultime (le maestre erano 15.820 nel 1863 contro 18.443 uomini, salirono a 23.818 nel 1875, mentre i maschi erano 23.167; nel 1901 sarebbero diventate 44.561 contro 21.178 maestri). Certo che pure la loro preparazione lasciava a desiderare: subito dopo l’unità di Italia, l’esigenza di trovare maestri per le nuove scuole aveva spinto a chiudere un occhio sul loro livello culturale, facilitando l’acquisto di patenti di abilitazione. Capitò che i maestri furono assunti dopo avere frequentato conferenze appositamente predisposte e della durata di pochi mesi. Ancora nel 1872, 7284 maestri pubblici su 33.929 (il 21 per cento) erano privi di patente regolare e avevano un permesso provvisorio all’insegnamento. In fondo sembrava di non essere andati molto lontani da quanto accadeva in Francia alla fine dell’ancien régime, quando i maestri erano assunti alle fiere di paese: chi aspirava a fare da insegnante girava per il mercato gridando «maître d’école» e indossando un cappello piumato (una piuma significava che poteva insegnare a leggere, due che sapeva pure insegnare a scrivere, tre che ci aggiungeva l’aritmetica).