L’Indipendente, 26/09/2004, 26 settembre 2004
Tutti a scuola (per almeno due anni). Quando l’Italia, con tutte le difficoltà del caso, fu fatta, si applicò a tutto il regno la legge (chiamata Casati, dal nome del ministro che l’aveva promossa) approvata nel 1859 in Piemonte: la scuola elementare durava quattro anni, i primi due dei quali erano obbligatori e gratuiti
Tutti a scuola (per almeno due anni). Quando l’Italia, con tutte le difficoltà del caso, fu fatta, si applicò a tutto il regno la legge (chiamata Casati, dal nome del ministro che l’aveva promossa) approvata nel 1859 in Piemonte: la scuola elementare durava quattro anni, i primi due dei quali erano obbligatori e gratuiti. Alle elementari seguivano poi due indirizzi di studi superiori: quello classico e quello tecnico. Per chi voleva diventare maestro c’erano le cosiddette ”scuole normali”. La novità stava soprattutto nel fatto che, imponendo la frequenza ai bambini provenienti da ceti fino allora esclusi dall’istruzione, si modificava profondamente la fisionomia e la funzione della scuola pubblica, in precedenza imperniata sull’insegnamento del latino e rivolta soprattutto agli alunni che giungevano da strati sociali privilegiati, che sapevano già scrivere e leggere e ambivano a percorrere i gradi superiori dell’istruzione. Come è facile intuire, l’adesione al nuovo sistema scolastico avvenne in tempi e modi diversi nelle varie regioni, e fu tutt’altro che semplice, anche perché il legislatore aveva lasciato ai comuni l’onere di costruire scuole e stipendiare i maestri (si dirà più avanti con quali risultati) in «proporzione alle proprie facoltà e secondo i bisogni degli abitanti». è vero che il ministero elargiva sussidi agli enti locali, ma erano così limitati che in effetti i comuni avevano ben poche «facoltà» da destinare alla scuola dell’obbligo. L’istruzione così veniva a essere carente proprio laddove serviva di più, anche se il primo ministro della Pubblica istruzione del Regno, Francesco de Sanctis, auspicava che la scuola trasformasse la «plebe», la cui «anima appartiene al confessore, al notaio, all’uomo di legge, al proprietario» in un «popolo libero». E pensava soprattutto al devastato meridione.