Giupa, Grazia, n. 201 del 3 Settembre 1942, 17 gennaio 2005
L’amore solo non basta. Il matrimonio non è un fine, è un inizio. Ed è proprio all’inizio che il ritmo deve essere regolato nella giusta misura
L’amore solo non basta. Il matrimonio non è un fine, è un inizio. Ed è proprio all’inizio che il ritmo deve essere regolato nella giusta misura. Gli esseri umani sono così complessi che bisogna amare veramente qualcuno per sopportarlo. Vi sono dei casi in cui l’amore solo non basta. Occorre, nella vita in comune, molta buona volontà, pazienza, indulgenza, tolleranza reciproca e come per tutte le opere d’arte, molta cura nei dettagli. In ogni vita coniugale vi sono dei momenti critici: l’adattamento e la rieducazione. L’adattamento. durante i primi mesi della vita comune che si pongono tutti i problemi, che si scavano alle volte le prime divisioni. Molte felicità sono sfumate più per colpa di uno spazzolino da denti che per i begli occhi di una splendente ragazza. La rieducazione. Più difficile ancora dell’adattamento è la rieducazione. Perché ”rieducazione”? direte voi. Ormai il carattere è formato e lo sarà per tutta la vita coniugale. Tutto giusto se gli sposi non saranno obbligati a lunghe separazioni. In questi momenti di vita guerriera ed eroica bisogna pensare anche a questa eventualità naturale. Nulla è più nocivo alla vita coniugale di una lunga assenza... Nella ”rieducazione” non si è più aiutati - come nell’’adattamento” - dal ”grande amore” e dalla curiosità dell’inizio. L’amore dopo, è più calmo, riflessivo. Si fanno inconsciamente le somme di sacrifici piccoli e grandi. Anzi, non si hanno più le stesse ragioni urgenti di prima per farli. Quando la ragazza si sposa. Se si tratta di una ”ragazza di famiglia” essa lascia una vita di famiglia monotona, ed è felice della sua nuova situazione di donna sposata e si trova quindi nello stato euforico durante il quale si accetta tutto e un periodo elastico durante il quale ci si adatta facilmente alle abitudini maschili. Oppure essa appartiene alla categoria delle ragazze che hanno una certa indipendenza – sociale, economica – ed allora sarà stanca di solitudine, avrà bisogno di affetto e sarà – pure lei – pronta ad adattarsi per la felicità di entrambi. Quando l’uomo si sposa. stanco dell’esistenza piatta e senza gioia del celibe. vicino alla misantropia. disposto a fare delle ampie concessioni alle sue antiche abitudini. E quando la donna l’abitua a preferire la sua compagnia egli le sacrificherà volentieri le sue scappate con gli amici, i pranzi d’affari, il caffè... E una volta avvenuto l’adattamento questi due esseri, fortemente uniti a tanti gusti comuni, avranno la giusta impressione di non poter fare a meno l’uno dell’altro: il miglior coefficiente per una felicità duratura. E se viene la separazione (in caso di guerra ndr)... la donna sarà preparata. Ormai essa è donna. La solitudine non pesa che allorquando è senza speranza. Ora, lei sa che ha un marito che pensa a lei, che le scrive e ch’essa riabbraccerà un giorno. Per l’uomo sarà più grave. Coi suoi compagni di reggimento egli ha ritrovato l’atmosfera di collegio che conosceva così bene da celibe. L’uomo è più infantile della donna. Quando la donna non è presente egli gioca, si diverte, fanciullescamente. La donna lo impressiona sempre un po’ e frena i suoi slanci di ragazzaccio. Il pericolo dà maggior intensità al loro amore. Essi sognano, s’idealizzano. Il loro amore diviene... presbite. Questo è il più grave pericolo per il... dopo. Quando si ritroveranno nella vita coniugale, i mille meschini incidenti della vita giornaliera non corrisponderanno più al sogno. Allora dovrà svolgersi il delicato processo di ”rieducazione” affidato alla tenerezza della moglie e all’affetto del marito.