L’Indipendente, 03/10/2004, 3 ottobre 2004
...e quello di campagna La vita in campagna per uno schiavo era più dura: poteva essere tenuto in catene (vinctus), ma quasi sempre si preferiva lasciarlo a piede libero (solutus), per farlo lavorare meglio
...e quello di campagna La vita in campagna per uno schiavo era più dura: poteva essere tenuto in catene (vinctus), ma quasi sempre si preferiva lasciarlo a piede libero (solutus), per farlo lavorare meglio. Il vilicus (fattore-schiavo) governava la villa (la residenza di campagna dei grandi proprietari terrieri) e supervisionava il lavoro degli altri, mentre la sua vilica si occupava delle attività domestiche. Vivevano in abitazioni con il pavimento di terra in gruppi di quaranta, suddivisi in unità da dieci elementi (decuriae) sorvegliate da quattro monitores. Gli schiavi comuni (bovari, operai, vignaioli) stavano in celle da quattro o sei posti. I custodi del raccolto (i promi) dormivano in un altro edificio più isolato. Gli schiavi di campagna avevano a disposizione una discreta quantità di cibo al giorno: 1,18 kg di pane, 0,14 litri di olio, 0,9 litri di vino o lora (il vinello dei mesi invernali), ma anche uova, legumi, formaggio, olive, e in un anno circa 10 kg di sale per condire i cibi. Forse mangiavano di più e meglio degli operai delle prime grandi industrie dell’800. Quelli che si occupavano del bestiame ricevano un trattamento più duro e spesso erano abbandonati a loro stessi; per contro, lontani dall’occhio vigile del vilicus, godevano di una maggiore libertà. E, non appena se ne presentava la possibilità, anche a costo di grandi rischi, qualcuno tentava di scappare o cercava di organizzare delle rivolte.