L’Indipendente, 03/10/2004, 3 ottobre 2004
Lo schiavo di città. Le vie delle città romane brulicavano di schiavi. Il lavoro manuale, poco considerato dai cittadini liberi, era compiuto in gran parte da schiavi-artigiani in appositi negozi
Lo schiavo di città. Le vie delle città romane brulicavano di schiavi. Il lavoro manuale, poco considerato dai cittadini liberi, era compiuto in gran parte da schiavi-artigiani in appositi negozi. Masse enormi lavoravano agli ordini dei grandi architetti, nei cantieri sparsi in tutto il paesaggio urbano: erano altamente specializzati nella costruzione di infrastrutture, ponti, strade, acquedotti e case. Altri schiavi, i cursores e i viatores, erano addetti a accompagnare il padrone per le strade, per proteggerlo da agguati e rapine. C’erano poi gli atrienses, schiavi domestici, sempre al servizio diretto del padrone. A loro spettava una condizione più favorevole perché erano responsabili della buona riuscita del più importante momento di socialità dei romani: il convito. Alcuni erano preposti al ricevimento degli ospiti, a cui dovevano fare un bagno caldo e un pediluvio; altri, nel frattempo, preparavano il vino per il banchetto. I più belli e educati servivano gli invitati. Dovevano portare i capelli lunghi con cui gli ospiti si asciugavano le mani, mescere il vino e servire le pietanze, preoccupandosi di tagliare il cibo in piccole parti. A banchetto concluso, altri schiavi pulivano la tavola e spazzavano. Ogni invitato aveva con sé uno schiavo personale (il servus ad pedem) pronto a soccorrerlo nel caso di ubriachezza o indigestione. Ancora più importante era il ruolo degli schiavi nel divertimento pubblico. I romani consideravano il mestiere dell’attore cosa disdicevole, indecorosa e indegna di un libero cittadino (le donne che recitavano avevano una pessima reputazione) da praticare nascosti dietro una maschera che raffigurasse il personaggio. Così la maggior parte degli attori erano schiavi. Così pure gli aurighi che percorrevano le piste sulle bighe e sulle quadrighe. Portavano un elmo di metallo, con una mano frustavano i cavalli e con l’altra tenevano le redini. E quando non finivano in terra potevano sempre essere oggetto delle intemperanze del pubblico rivale. Ma i giochi preferiti erano le lotte dei gladiatori, nella maggior parte schiavi che attraverso i combattimenti cercavano di riscattarsi. Introdotte a Roma nel 264 a.C., le lotte divennero il divertimento prediletto dal pubblico romano, a tal punto che si crearono vere e proprie scuole d’addestramento di gladiatori con tanto di maestri specializzati. Schiavi erano anche gli addetti alla manutenzione degli anfiteatri dove si svolgevano le gare, costretti a togliere dal campo i cadaveri, a portare sabbia pulita per ricoprire le macchie di sangue e preparare gli incontri seguenti.