L’Indipendente, 07/11/2004, 7 novembre 2004
In navigazione. Poi, finalmente, la partenza e il viaggio. Nell’epoca d’oro della navigazione per mare tutto poteva accadere
In navigazione. Poi, finalmente, la partenza e il viaggio. Nell’epoca d’oro della navigazione per mare tutto poteva accadere. Si poteva sbarcare in un posto diverso da quello prefissato. Si poteva naufragare. Come il Titanic, che nel 1912 portò sul fondo del mare anche il suo carico di emigranti. Come il nostro Principessa Mafalda della Navigazione Generale Italiana, inabissatosi al largo delle coste di Bahia: 657 morti ufficiosi, 314 ufficiali, su 977 passeggeri e 287 uomini d’equipaggio. Vent’anni di onorata carriera, lungo 146 metri e largo 17, con motori da 18 nodi, era partito da Genova l’11 ottobre 1927 e era diretto in Sudamerica. La partenza era stata rinviata di ore e lungo il tragitto le eliche si erano fermate otto volte. «Eravamo in ritardo di 27 ore - ricorderà 50 anni dopo Flora Forciniti, una sopravvissuta - e durante tutta la traversata la nave era rimasta pericolosamente storta. L’inclinazione era tale che la mattina non potevamo poggiare la tazza col caffellatte perché si sarebbe rovesciata». Poi alle 17 di martedì 25 ottobre si stacca l’asse di un’elica e dalla falla la nave imbarca acqua e si piega. Le poche scialuppe e i tanti squali sono gli altri elementi di questa tragedia. «La cosa che accadeva con maggiore frequenza era di contrarre malattie contagiose a causa delle condizioni di affollamento e di sporcizia cui avveniva la traversata», spiega Augusta Molinari in Porti, trasporti, compagnie. Basta leggere il diario di bordo del piroscafo ”Città di Torino”, salpato alla fine del 1905 da Genova: «A oggi su 600 imbarcati ci sono stati 45 decessi dei quali: 20 per febbre tifoide, 10 per malattie broncopolmonari, 7 per morbillo, 5 per influenza, 3 per incidenti di coperta». «A differenza delle navi straniere per emigranti - evidenziano Oreste Grossi e Gianfausto Rosoli in Il pane duro a proposito dell’alimentazione durante la traversata - quelle italiane non avevano una sala da pranzo. La distribuzione del cibo era fatta in maniera umiliante, senza l’osservanza delle elementari norme igieniche, per ranci, cioè gruppi di 6 persone, uno dei quali per turno era incaricato del ritiro delle vivande dalla cucina». «Il cibo - spiega Georges Perec - consisteva in patate e aringhe». Ulderico Bernardi in Addio patria racconta della Champagne, che salpava da Le Havre per New York con 74 ospiti, divisi fra la prima e la seconda classe, e i restanti 540 stipati in terza classe. In prima si mangiava potage al madera, petite paté aux truffes, salmone in salsa olandese, filetto di bue Reinassance, asparagi bianchi, pommes brioches, sella d’agnello arrosto, tacchino aux cressons, gateau Madeleine, glace vanille, dessert. In terza, invece, si dormiva su un sacco imbottito di paglia e c’era un orinatoio ogni cento persone. «Accovacciati sulla coperta, presso le scale, col piatto fra le gambe e il pezzo di pane fra i piedi, i nostri emigranti mangiano il loro pasto come i poverelli alle porte dei conventi - scriveva Teodoro Rosati, colonnello medico della Regia Marina - un avvilimento morale e un pericolo igienico. Ognuno può immaginarsi che cosa sia la coperta di un piroscafo sballottato dal mare, sulla quale si rovesciano tutte le immondizie volontarie e involontarie di quelle popolazioni viaggianti». Il racconto di un Commissario di bordo, sceso nei dormitori, colpisce Edmondo De Amicis che lo riporta Sull’Oceano: «Aveva visto là sotto masse intricate di corpi umani, gli uni sopra e a traverso agli altri, con le schiene sui petti, coi piedi contro i visi e le sottane all’aria; viluppi di gambe, di braccia, di teste coi capelli sciolti, striscianti, rotolanti sul tavolato immondo, in un’aria ammorbata, in cui da ogni parte risuonavano pianti, guaiti, invocazioni di santi e grida di disperazione». In L’assistenza sanitaria degli emigrati e dei marinai, sempre Teodoro Rosati ricorda: «L’emigrante si sdraia vestito e calzato sul letto, ne fa deposito di fagotti e valigie, i bambini vi lasciano orine e feci, i più vi vomitano: tutti, in una maniera o nell’altra, l’hanno ridotto dopo qualche giorno ad una cuccia da cane. A viaggio compiuto, con sudiciume e insetti, il letto è pronto ad accogliere un nuovo partente».