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 2004  novembre 07 Domenica calendario

L’imbarco. Edmondo De Amicis, l’autore di Cuore, racconta nel libro Sull’oceano, l’imbarco degli emigranti a Genova: «Operai, contadini, donne con bambini alla mammella, ragazzetti che avevano ancora attaccata al petto la piastrina dell’asilo infantile passavano, portando quasi tutti una sedia pieghevole sotto il braccio, sacche e valigie d’ogni forma alla mano o sul capo, bracciate di materassi e coperte, e il biglietto della cuccetta stretto fra le labbra

L’imbarco. Edmondo De Amicis, l’autore di Cuore, racconta nel libro Sull’oceano, l’imbarco degli emigranti a Genova: «Operai, contadini, donne con bambini alla mammella, ragazzetti che avevano ancora attaccata al petto la piastrina dell’asilo infantile passavano, portando quasi tutti una sedia pieghevole sotto il braccio, sacche e valigie d’ogni forma alla mano o sul capo, bracciate di materassi e coperte, e il biglietto della cuccetta stretto fra le labbra. Molti erano scalzi e portavano le scarpe appese al collo». Mentre nel porto di Marsiglia era stato aperto nel 1844 un nuovo bacino di ancoraggio, il porto di Rotterdam, nel 1875, aveva 7 bacini collegati e a Brema era stato creato, nel 1866, uno dei bacini di approdo più moderni d’Europa, nel 1890 a Genova c’è un solo ponte d’imbarco per i passeggeri. il Ponte Calvi, situato nella parte orientale del porto, lontano dalla stazione ferroviaria e senza strutture di accoglienza. Le uniche erano quelle adibite ai controlli igienici sanitari e alla bonifica dei bagagli. In attesa di partire, questi poveracci rimanevano sulla banchina o erano preda degli agenti delle Compagnie, che avevano incluso nel prezzo del biglietto anche la notte in una locanda. Non era raro vedere centinaia di famiglie sdraiate promiscuamente sull’umido pavimento, o sui sacchi, o sulle panche, in lunghi stanzoni, in sotterranei, o in soffitte miserabili, senz’aria e senza luce. Risultato: morti per annegamento, resse, ferimenti. Come fossero, poi, le locande lo racconta il quotidiano genovese Il Caffaro: «Oscure e fetenti, con letti di una sporcizia inaudita». Una descrizione confermata da un verbale del 1903 delle guardie sanitarie comunali, che li descrive come «ambienti privi d’aria, sporchi, umidi, puzzolenti, dove dormivano 50 emigranti, la maggior parte per terra tra materiali fecali e orina».