L’Indipendente, 07/11/2004, 7 novembre 2004
Ellis island. «I destinati ad Ellis Island - ricorda sempre Georges Perec - erano quelli che viaggiavano nella stiva, al di sotto della linea di galleggiamento»
Ellis island. «I destinati ad Ellis Island - ricorda sempre Georges Perec - erano quelli che viaggiavano nella stiva, al di sotto della linea di galleggiamento». Secondo il rapporto del medico della White Star Line, la stessa compagnia navale del Titanic, compilato durante un viaggio da Napoli a New York nel maggio 1905, «la temperatura non è la sola situazione che rende l’atmosfera irrespirabile nei dormitori. Vi concorre il vapore acqueo e l’acido carbonico della respirazione, i prodotti volatili che svolgono dalla secrezione dei corpi, dagli indumenti dei bambini e degli adulti, che per tema o per pigrizia non esitano a emettere urine e feci agli angoli del locale. La puzza è tale che il personale di bordo si rifiuta spesso di entrare per lavare i pavimenti». Ai moli del fiume Hudson, all’ombra della Statua della Libertà, i morti di fame della terza classe vedevano sfilare dagli oblò i passeggeri di prima e seconda, che potevano mettere piede in America dopo un controllo rapido al bagaglio e qualche formalità burocratica. I pezzenti di terza dovevano passare, invece, per Ellis Island. Coi figli in braccio e carichi di valigie di cartone strette con lo spago, abbrutiti dalla traversata, avevano cucito sui vestiti un cartellino con un numero corrispondente al libro mastro dei passeggeri. Per numeri venivano poi caricati sul battello del Dipartimento federale americano dell’immigrazione. «Il sole picchiava sul tetto di legno - ricorda un testimone - i finestrini laterali erano bloccati. Non potevamo muoverci di un centimetro. I bambini piangevano ininterrottamente. Il nervosismo era crescente». In questa carretta del mare, ghiacciaia d’inverno, forno d’estate, i transfughi potevano rimanere per ore, senza acqua, né cibo e non c’erano servizi igienici. I due piani del Servizio Immigrazione di Ellis Island erano organizzati come una catena di montaggio, con tempi precisi. Se tutto andava per il meglio te la cavavi in cinque o sei ore, se c’era un intoppo o te ne tornavi a casa o finivi per giorni e settimane nell’ospedale dell’isola. In cima alle scale, gli ispettori osservavano chi saliva, per identificare chi aveva problemi di deambulazione, mostrava segni di affaticamento che potessero segnalare problemi cardiaci, rideva, si mangiava le unghie o evidenziava comportamenti che facessero sospettare una malattia mentale. Gli emigranti a ogni passo mostravano la loro Inspection Card, che veniva timbrata e annotata. Nella grande Registry Room i dottori verificavano il candidato da testa a piedi, in cerca di sintomi di malattie e deformità. Avevano 6 secondi per la diagnosi. I sospetti venivano marchiati con il gesso sugli abiti utilizzando segni convenzionali (’pg” per una donna incinta, ”c” per la tubercolosi, ”e” per problemi agli occhi e ”h” per quelli di cuore, ”k” per un’ernia, ”l” per chi era zoppo, ”sc” per un cuoio capelluto che non andava, ”tc” per il tracoma e ”x” per problemi di mente) e costretti, attraverso le ”scale della separazione” dove intere famiglie sono state spezzate, in un’altra sala per un esame più approfondito. Chi non lo passava o risultava malato di tigna, tubercolosi o tracoma veniva rimpatriato.