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 2005  gennaio 08 Sabato calendario

Debreu Gerard

• Nato a Calais (Francia) il 4 luglio 1921, morto a Parigi (Francia) il 6 gennaio 2005. Matematico. Premio Nobel per l’Economia 1983. «Il nome di Debreu è indissolubilmente legato a un gigantesco sforzo teorico, compiuto da lui e da molti altri esponenti del pensiero neoclassico tra gli anni ’40 e ’50, finalizzato alla costruzione di un modello di equilibrio generale, vale a dire un tentativo di rappresentazione ”totale” del funzionamento di una economia concorrenziale. Debreu ha sempre mostrato una forte ritrosia nei confronti dei tentativi di attribuire alla sua opera una capacità di descrizione della ”realtà economica”, così come si è opposto alla possibilità di trarre dal suo edificio teorico delle dirette implicazioni politiche. Come si evince da una preziosa intervista del 1996 ad opera di Piero Bini e Luigino Bruni, così come dalla sua stessa biografia, Debreu ha sempre cercato con questo comportamento di rimarcare una netta presa di distanza dagli impieghi per così dire ”ideologici” della sua teoria. Egli giunse addirittura a mostrare un certo compiacimento nell’aver sistematicamente disertato le riunioni del proprio dipartimento alla Cowles Commission, dove la Scuola di Chicago andava sviluppando le linee guida del ”monetarismo”, il credo su cui tuttora si fonda, tra l’altro, la politica marcatamente restrittiva della Banca centrale europea. Nonostante il voto di neutralità compiuto da Debreu, è innegabile che la sua Theory of Value del 1959 rappresenti tuttora il punto di riferimento essenziale per la maggior parte degli studi tesi alla ”dimostrazione borghese” per eccellenza: l’efficienza di un ordine sociale esclusivamente basato sulla libera interazione di individui autonomi, egoisti e razionali. In altre parole, l’efficienza del capitalismo, o meglio, della rappresentazione che i suoi apologeti amano dare di esso. Per quanto infatti le ricerche di Debreu e degli altri teorici neoclassici non siano mai state in grado di elaborare una dimostrazione generale dell’unicità e della stabilità dell’equilibrio economico, è oggi prevalente l’opinione che il loro contributo sia stato decisivo per definire le condizioni necessarie affinché il medesimo equilibrio possa sussistere e quindi, implicitamente, anche delle azioni politiche che occorrerebbe intraprendere qualora quelle condizioni non siano soddisfatte. In quest’ottica, l’economista del Mit Olivier Blanchard si è spinto addirittura al punto di attribuire proprio a Debreu il merito di aver chiarito in termini rigorosamente scientifici i presupposti per il corretto funzionamento della ”mano invisibile” di Adam Smith, vale a dire di quel principio secondo cui la proprietà fondamentale del capitalismo consisterebbe nel generare benessere diffuso grazie esclusivamente al libero operare dell’egoismo dei singoli. Questo significherebbe, ad esempio, che l’efficienza capitalistica è assicurata solo nel caso in cui i prezzi, secondo l’impostazione di Debreu, siano perfettamente in grado di riflettere la scarsità relativa delle risorse che essi rappresentano. Se il lavoro è relativamente abbondante rispetto alle altre risorse allora il suo prezzo, ossia il salario, dovrà risultare relativamente basso. Se ciò non dovesse avvenire, magari a causa dell’azione dei sindacati, vorrà dire che è solo a questi ultimi che si dovrà imputare l’inefficienza dell’equilibrio capitalistico. Originariamente destinato agli studi d’ingegneria e capitato tra le spine della scienza economica solo a causa della guerra, Debreu sarebbe probabilmente inorridito di fronte al carattere rudemente politico di una simile conclusione. Ciò non toglie, tuttavia, che essa rappresenta la pressoché indiscussa conseguenza logica di tutti i modelli ispirati alla sua opera.  indubbiamente un peccato non poter chiedere a Smith una valutazione epistemologica sull’accostamento (a dir poco) temerario suggerito da Blanchard. Ma soprattutto, più in generale, appaiono del tutto fuorvianti le concezioni secondo cui la realtà capitalistica funzionerebbe in modo non efficiente (generando ad esempio crisi e disoccupazione) solo perché i sistemi economici effettivi non rispettano i requisiti del modello di equilibrio generale di Debreu. Quei requisiti rappresentano infatti soltanto delle condizioni di equilibrio di un particolare schema di rappresentazione del capitalismo, il modello neoclassico. E non vi è nessuna ragione scientifica per cui si debba ritenere quello schema come l’unica possibile ”metafora” del funzionamento effettivo del sistema economico. Qui si pone tuttavia il problema di fondo per chi desideri accostarsi criticamente al pensiero di Debreu e degli altri giganti dell’ortodossia neoclassica. il problema della costruzione di una potente rappresentazione alternativa del mercato capitalistico, quale fondamento necessario per una efficace critica della teoria economica dominante e della ideologia ad essa sottesa. Le critiche ”interna” ed ”esterna” all’equilibrio generale neoclassico, elaborate da alcuni esponenti italiani delle cosiddette scuole ”classica” e del ”circuito”, rappresentano [...] una base di sostegno potenzialmente fruttuosa per la costruzione di una teoria alternativa. Queste impostazioni, infatti, presentano già il merito di non attribuire alla determinazione capitalistica del salario e delle altre variabili distributive alcuna proprietà generale di efficienza, ma anzi fanno risalire le origini della stessa a questioni di ”potere”, come quello tipico della classe capitalista di accedere in modo privilegiato alle fonti di finanziamento. L’unico serio limite che forse può rintracciarsi in queste analisi, e che quantomeno negli esiti le accomuna all’opera di Debreu, consiste nella estrema difficoltà di introiettare o anche solo di rapportarsi con la Storia e la sua evoluzione. Debreu, in proposito, con l’ipotesi eroica dei mercati futuri completi per tutte le merci, aveva deciso di liquidare il problema facendo implodere l’intero sviluppo storico in un unico punto, il cosiddetto tempo zero, in cui verrebbero inverosimilmente intraprese tutte le decisioni per il futuro. I modelli ad esso alternativi, al contrario, sulla Storia restano muti. Il che li pone, almeno per il momento, a grande distanza dal pieno compimento delle ambizioni di Marx, loro grande ispiratore» (Emiliano Brancaccio, ”il manifesto” 6/1//2005).