6 gennaio 2005
Tags : Michiko. Hirayama
Hirayama Michiko
• Nata a Tokyo (Giappone) nel 1923. Soprano. «[...] grande vocalista giapponese, stabilmente in Italia dalla metà degli anni ’50 [...] Canti del Capricorno. Praticamente il lavoro per voce (più strumenti in sei dei venti brani della serie) che ha fatto di lei e Scelsi un binomio da repertorio, familiare e leggendario, come potrebbero essere Visage per Cathy Berberian e Luciano Berio o Three Voices per Joan LaBarbara e Morton Feldman o Blasé per Jeanne Lee e Archie Shepp. [...] come è cominciata la relazione artistica tra lei e Scelsi? ”Con un certo numero di inviti da parte di una ricca signora, mia amica, che abitava in via San Teodoro, a Roma, nell’appartamento sotto a quello di Scelsi. Siamo intorno al ’56 o ’57. Io allora mi esibivo in concerti di musiche giapponesi, un po’ originali un po’ ”occidentalizzate” scritte da me, e integravo i concerti con brevi conferenze. La mia amica organizzava serate musicali in casa sua per il pubblico della Roma bene. Spesso ero io la star. Una sera, alla fine del concerto si è avvicinato un tipo aristocratico e mi ha detto: ’Lei ha parlato di microtonalità nella musica popolare. La microtonalità mi interessa moltissimo’. [...] Era lui. Ci siamo scambiati convenevoli e tutto sembrava finito lì. Dopo due settimane il suo autista mi ha portato a casa una partitura. Guardandola non ho trovato niente che significasse qualcosa per me. Ho contato una sola nota. E vaghe indicazioni di suoni. Se provavo a cantarla non usciva fuori niente. Ho chiesto alla mia amica ragguagli su questo misterioso conte Giacinto Scelsi, l’inquilino del piano di sopra. Lei mi ha parlato di un tipo curioso, un musicista che ogni sera alle undici cominciava a suonare e andava avanti senza interrompersi fino all’alba. ’Stranissimi suoni - diceva la mia amica - non di pianoforte, qualcosa di elettronico, piuttosto’. [...] Era un coro: non avvicinarti a quel tizio, è un dilettante, non capisce niente e per di più è mezzo matto. Io pensavo: se è un dilettante dopo tre giorni si stufa di suonare, invece questo signore suona, improvvisando, tutte le notti da un anno, per lui è un fatto vitale. Così ho deciso di verificare di persona. Una sera ero a cena dalla mia amica di via San Teodoro e un po’ prima delle undici ho salutato e me ne sono andata come per tornarmene a casa. Poi, quatta quatta, sono salita a piedi al piano di sopra e mi sono seduta davanti alla porta dell’appartamento di Scelsi. Sono rimasta lì tre ore, avevo freddo. Ascoltavo. Sono tornata varie altre sere, portandomi una coperta per non gelare. Ecco: questo è stato il vero inizio. [...] Lui cominciava ogni notte con una sola nota, la teneva a lungo, molto a lungo. Capivo che la sua musica prendeva le mosse dalla meditazione. Grande autore? Non mi sono preoccupata di soppesarlo, di valutarlo. Ero affascinata. Sentivo che c’era un uso assai esteso, estremo, della microtonalità e io avevo deciso da tempo, dopo gli studi al Mozarteum di Salisburgo, di dedicarmi alla musica nuova, magari alla musica che prevedesse l’elettronica o una concezione sonora di tipo elettronico. Avevo il mio background orientale da cui derivavo una capacità spontanea di muovermi attraverso la microtonalità, senza bisogno di nessun artificio o di studi particolari. Ho pensato: se nessuno canta microtonale posso farlo io. [...] In quell’epoca c’era il dominio assoluto del puntillismo, la voce era materiale sonoro, il canto non serviva più. Ma noi siamo umani, no? abbiamo bisogno del canto. E io desideravo recuperarlo. Ascoltando Scelsi di nascosto, prima quella nota sola, poi piano piano mutazioni, evoluzioni, divagazioni fino ad arrivare a un’esplosione, ascoltandolo ho pensato: questa è davvero la nuova musica, qui c’è l’idea del canto. Lui non si occupava di metrica, di quinte diminuite o settime o none, inventava una musica completamente personale. Ed ecco che la sua partitura, stesso pentagramma, stessa nota, ha cominciato a rivelarmi il suo significato. Io avevo ormai nelle orecchie le sue improvvisazioni, non avevo più bisogno dei segni scritti o di scandire mentalmente ’uno due tre quattro...’, la sua nota era un infinito. Musica adatta alla voce? Tecnicamente no. Quando io e Scelsi abbiamo cominciato a lavorare insieme gli ho suggerito cambiamenti, abbiamo discusso, lui ha accettato le mie esigenze di cantante come io avevo accettato lo spirito della sua musica. [...] Si chiamava ondiola, era una piccola tastiera elettronica con alcune rotelline che permettevano di cambiare la frequenza. Lui era bravissimo. E io ho cominciato a convincermi che era l’unico al mondo in grado di fare una musica così, dove era assimilata la voce umana. [...] Quando mi ha proposto di cantare le Quattro melodie Hô io sapevo che erano già trascrizioni da altri pezzi per altri strumenti a loro volta trascritti dalle improvvisazioni che Scelsi registrava su nastro. Ma ormai avevo capito come lui intendeva la musica. Mi ci sono messa dentro, senza dar retta ai compositori italiani che continuavano a trattarlo da pazzo e a escluderlo completamente dalla vita musicale. Solo Franco Evangelisti dopo aver ascoltato la registrazione delle Melodie Hô cantate da me si è dichiarato entusiasta. [...] John Cage quando veniva a Roma prima mi chiedeva di accompagnarlo in certi negozi in cerca di cibi molto particolari, ma subito dopo voleva che lo portassi da Scelsi. Adorava la sua musica. Stessa cosa per Morton Feldman. In Italia è noto che Scelsi ha avuto un rapporto cordiale, un po’ freddo, con Petrassi, suo coetaneo. [...]» (Mario Gamba, ”il manifesto” 571/2005).